20.05.2024 — 27.07.2024
Le Stanze della Galleria dello Scudo si aprono ora a un nuovo allestimento che presenta, in successione, quattro autori scelti fra gli artisti contemporanei che rientrano nella rosa dei rapporti di collaborazione diretta instaurati nel corso degli anni, ognuno dei quali documentato all’interno di una sezione personale.
La successione, non necessariamente subordinata a criteri di scansione cronologica, offre allo spettatore una panoramica su personalità molto diverse fra loro, a riconferma della vitalità e del carattere poliedrico dell’arte italiana degli ultimi decenni, in cui convivono istanze figurative e astratte, sguardi rivolti a materiali e tecniche tradizionali, così come aperture verso sperimentazioni che non hanno avuto eguali nel linguaggio di altri autori.
Ad aprire il percorso è Luigi Ontani con il ciclo di dieci acquerelli eseguiti appositamente per l’edizione italiana del romanzo dello scrittore portoghese António Pedro, Appena un racconto, pubblicato nel 1995 da Colpo di Fulmine Edizioni. Ognuno dei dieci lavori trae ispirazione da un passo ben preciso del libro, ripercorrendo la narrazione di una storia “semplice come le piante”, e “nata naturalmente come loro, anche se, come loro, prende talvolta forme inattese”.
Ad affiancarlo è il grande acquarello su carta Grillo gobbo discolo e goloso del 1996, permeato dalla peculiare vena ironica dell’artista, grazie alla quale Ontani mette in scena azioni tratte da un universo immaginifico, nato tra sogno, fantasia e invenzione di un nuovo mondo dove le azioni più impensabili si intrecciano e coesistono.
Jackson Pollock, “il più grande pittore vivente degli Stati Uniti” come fu definito in un articolo uscito su “Life” nel 1949, è il soggetto del busto nato dalla collaborazione con la Bottega d’Arte Ceramica Gatti di Faenza, qui raffigurato con l’immancabile sigaretta in bocca, incoronato dai suoi barattoli di colore, gli stessi che compaiono in numerose fotografie scattate da Arnold Newman nello studio a Springs a East Hampton. Le colature di colore, ispirate ai suoi famosi dripping, ricoprono in gran parte la figura, dal volto alla colonna tortile che sorregge il busto, all’insegna di quell’horror vacui peculiare del linguaggio pittorico dell’artista americano. L’opera ora esposta reinterpreta il soggetto affrontato da Ontani in due ErmEstetiche del 1996.
I due quadri di Giuseppe Gallo Il deserto del Gobi e Il deserto dei Tartari presentano una cascata di segni, simboli e forme, pronta a rischiarare la buia galassia sottostante, il deserto privo di luce ravvivato dal fitto mosaico di presenze baluginanti.
“Il quadro diventa il teatro di rappresentazione di una arcaica belligeranza tra forze destinate a non placarsi mai, tra energie che possono essere evocate ma mai bloccate. Per questo l’artista usa un linguaggio tra l’organico ed il figurale, tra l’informale ed una sospettabile figuratività” (A. Bonito Oliva). Gallo rinnova le proprie riflessioni sulle relazioni tra uomo e natura, nella consapevolezza che “la natura delle cose non possiede rigidità proprie, ma ha nell’equilibrio il criterio dominante delle sue creazioni”.
Di Arcangelo Sassolino si presenta un lavoro recente che rinnova le riflessioni sulle forze della natura, oggetto di una ricerca costante e rigorosa, sempre protesa a sondare il limite ultimo di resistenza e di non ritorno. Tempo curvo del 2022, una grande lastra di vetro ricurvo posta in tensione da una fascia di tessuto a dimostrare come il materiale, rigido e fragile per antonomasia, possa in realtà piegarsi e mostrarsi malleabile se sottoposto a forze sapientemente calibrate. Non manca uno dei suoi lavori in cemento, nato nell’intento di coniugare il bidimensionale col tridimensionale, la pittura con la scultura, portando con sé la memoria di una superficie immacolata, perfettamente levigata e lucida, espressione al tempo stesso di resistenza, fragilità e finezza di un materiale che rientra, anche inconsapevolmente, nella nostra quotidianità.
L’omaggio a Marco Gastini, l’artista torinese scomparso nel 2018, comprende due lavori che attestano il tradizionale interesse dell’autore per materiali e assemblaggi inusuali, nell’ambito di una ricerca espressiva sempre imperniata su criteri di raffinatezza compositiva. La grande tela Sale nel buio, eseguita nel 2013, e Apnea del 2017, un lavoro su carta di minori dimensioni, sono entrambi costellati da inserti in terracotta, resi con screziature a tratti iridescenti, che riprendono i tratteggi e le stesure in blu egiziano, inserite a ravvivare con effetti quasi cangianti la superficie scura del quadro.