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a cura di Klaus Wolbert e Luca Massimo Barbero
19.12.2003 — 28.02.2004
a cura di Klaus Wolbert e Luca Massimo Barbero
19.12.2003 - 28.02.2004Il percorso della pittura di Piero Pizzi Cannella, dai primi lavori esposti a Roma alla Tartaruga nel 1980 e all’Attico nell’84 fino allo straordinario ciclo di polittici dipinti su tavola tra il 2001 e il 2002 presentati al Castello Colonna a Genazzano, è costantemente segnato sia dal tormentato rapporto tra materia e gestualità creativa, sia dall’incessante elaborazione, dalla ripetizione e dall’aggregazione di simboli che sembrano venire da lontano, affioranti dalla cultura classica e subito filtrati, sino a far parte del più segreto mondo interiore. Momento ulteriore, quasi inevitabile, cui doveva giungere la ricerca dell’artista è rappresentato dal lavoro condotto nel 2003, contraddistinto dal bisogno di liberarsi da ogni contesto, sintetizzando così in una solitaria, unica presenza l’icona che abita all’interno del “cerchio immaginario” in cui ogni cosa torna su se stessa. È questo l’ambito in cui si isola l’ossessione del pittore, per dare vita a un racconto intimo e al tempo stesso espressione della memoria collettiva.
Una possibilità però che Pizzi Cannella non vuole negarsi sta nel replicare, ripetendone anche il rapporto con la superficie pittorica, quel segno che sembra fermato per sempre, generando così una versione che altro non è se non il doppio dell’immagine, la complementarità. Questo doppio processo di duplicazione, che interessa l’elemento raffigurato e lo spazio da cui è definito, è quanto connota i dipinti scelti per la personale in corso dal 19 dicembre 2003 al 28 febbraio 2004 alla Galleria dello Scudo a Verona.
Doppia coppia è il titolo quindi della mostra che riunisce coppie di grande formato accanto ad altrettante ma di piccola misura, in cui fanno solitaria apparizione, però complici tra loro, i simboli del linguaggio di Pizzi Cannella: le ombre cinesi, le perle, i fiori secchi, le vesti disabitate, le “Pulcinelle”...
Coppie, copie, il gioco linguistico, la tentazione di giocare con i nomi dei soggetti, la loro rappresentazione, il loro proporsi come “doppie coppie”, uno stravinskiano gioco di carte, sincopato e perfetto, apparentemente ovvio, quasi ridondante: è invece ancora uno scatto improvviso all’interno di questo sempre misterioso e profondo artista. A comporre un percorso di immagini sospese, i dipinti si affrontano al muro presentando, come in Bolero e Gran ballo d’Oriente, nulla di encomiastico o di retorico. I simboli manifestano felicemente – tramite una pittura a volte sontuosa, a volte tumultuosa oppure in sottrazione, quasi negata, sofferta, cancellata – la loro validità, la loro capacità di rigenerarsi e sempre esistere, come memoria, come luce, colore, spazio. L’oro, Le perle: un oggetto è sospeso nella materia, dialoga con il suo doppio, un reale (non surreale) gioco delle parti, che talvolta diviene sinistro e drammatico come nelle due tele I fiori secchi. Se l’occhio moltiplicato degli autoritratti in Bella coppia e Pulcinelle denuncia la presenza del pittore, nella coppia ambientata al Grand Hotel essa diviene ancora più forte attraverso la sua negazione. I quadri quindi interpretano e si interpretano: narrano di sé, del mondo immaginario di Pizzi Cannella, come in un diario privato, intimo e sospeso, che racconta di una nuova, personale mitologia.
La rassegna è curata da Klaus Wolbert, direttore dell’Institut Mathildenhöhe di Darmstadt e da Luca Massimo Barbero, Associate Curator della Peggy Guggenheim Collection di Venezia. Il catalogo edito per l’occasione reca i loro interventi, centrati sul significato della mostra e delle icone che ricorrono nella pittura dell’artista, ed è corredato da un contributo di Franco Rella, docente di estetica all’Istituto Universitario di Architettura di Venezia, sulla valenza filosofica dei concetti di iterazione e complementarità. Claudio Abate, autore delle fotografie che illustrano il volume, interpreta la realizzazione del progetto nello studio dell’artista.