Valerio Adami | Biografia, Opere, Esposizioni

Valerio Adami nasce a Bologna il 17 marzo 1935. Compiuti gli studi scientifici a Milano, dove nel frattempo la famiglia si è trasferita, decide di dedicarsi alla pittura entrando nell’atelier di Felice Carena a Venezia, cui segue l’incontro nel 1951 con Oskar Kokoschka, quindi la formazione all’Accademia di Brera con Achille Funi. Nel 1952, dopo il suo primo soggiorno a Parigi dove dipinge Bambine in seggiolino e L’asino d’Empoli, si trasferisce a Londra e, su invito di Roland Penrose, espone all’Institute of Contemporary Arts. Nel 1962 sposa Camilla, con cui si stabilisce ad Arona, sul Lago Maggiore. Invitato a Documenta III a Kassel da Werner Haftmann nel 1964, l’anno seguente figura nella mostra dal titolo I massacri privati, Gli omosessuali-Privacy e Le stanze a canocchiale, tenutasi a Milano, città dove nel 1966 presenta Immagini con associazioni alla Galleria Schwarz e allo Studio Marconi. A questo periodo risale il suo incontro con Ezra Pound a Venezia, quindi il suo trasferimento a New York, dove alloggia al Chelsea Hotel: nascono qui le grandi tele dedicate alle stanze dell’albergo, alle latrine, agli omosessuali. “Toilettes, hotel, massacri privati”, come scrive Adami, “sono modi di vivere, l’altro sistema nervoso di quando esco con la macchina fotografica”.

Il 1968 è l’anno di alcuni importanti appuntamenti espositivi, come la Biennale di Venezia, in cui Valerio Adami figura con una sala personale, e le rassegne tenutesi all’Institute of Contemporary Art di Boston e al Jewish Museum di New York. Nel 1969 con lo scrittore Carlos Fuentes, autore dello scritto Lineas para Adami redatto l’anno prima, soggiorna in Messico e in Venezuale, a Caracas, dove il Museo de Bellas Artes ospita una sua personale. Nel 1970 espone a Parigi alla Galerie Maeght, che da allora diviene la principale referente per la sua opera, e il Musée d’Art Moderne de la Ville de Paris gli dedica una grande mostra, in seguito trasferita a Ulm. Il lungometraggio da lui realizzato nel 1971, Vacanze nel deserto, viene premiato al Festival di Tolone.

Durante il soggiorno in Baviera nel 1974 Valerio Adami pubblica il volume Das Reich-10 Lektionen uber das reich con lo scrittore tedesco Helmut Heissenbuttel. Seguono altri importanti eventi editoriali: il libro di Marc Le Bot Valerio Adami. Essai sur le formalisme critique, edito nel 1975, e il saggio di Jacques Derrida dedicato alla sua opera, pubblicato nel volume del 1977 La verité en peinture. Nel 1979 soggiorna a Città del Messico in occasione di un’importante personale allestita al Museo de Arte Moderno, trasferita poi all’Israel Museum di Gerusalemme. Nel 1980 Italo Calvino è l’autore di Quattro favole d’Esopo per Valerio Adami. Nel 1981 si stabilisce nel Principato di Monaco, pur continuando a viaggiare per l’Europa, a Madrid e a Londra. Espone nel 1983 alla Fuji Television Gallery di Tokio e nel 1984 a New York, anno in cui smette di datare i suoi dipinti. Nel dicembre dell’anno successivo, il Centre Georges Pompidou di Parigi gli dedica un ampia retrospettiva a cura di Alfred Pacquement, in seguito trasferita in Palazzo Reale a Milano; il ricco catalogo delle opere è introdotto da Dore Ashton. Entra nel Consiglio di amministrazione del Collège International de Philosophie. Del 1986 è la scenografia da lui realizzata nella piazza centrale a Ginevra per il 450° anniversario della riforma di Calvino, e del 1987 sono due monumentali opere pittoriche sul tema del Viaggio di Perseo per l’atrio della Gare d’Austerltz a Parigi. Nello stesso anno viaggia nei paesi scandinavi dove espone in diverse gallerie.

Nel 1989 pubblica Le règles du montage e, in occasione del bicentenario della Rivoluzione Francese, realizza un grande affresco per la facciata del Théâtre du Châtelet di Parigi. Nel 1990 presenta un’antologica all’Ivam Centre di Valencia, con testi di Octavio Paz e José Jiménez. Per il progetto del Park Hyatt Hotel a Tokyo, firmato dagli architetti Kenzo Tange e John Morford, Valerio Adami realizza nel 1993 quattro grandi pitture. Nel 1995 viene fondato l’Institut du Dessin. Dopo le vaste rassegne proposte a Firenze in Palazzo Medici Riccardi nella primavera 1996 e al Museum Bochum in Germania nell’autunno seguente, nel 1997 espone al Tel Aviv Museum of Art e, presentando Gli Adami di Adami, al Refettorio delle Stelline a Milano. Realizza per Giancarlo Menotti il manifesto del Festival di Spoleto, che gli dedica una mostra personale. Nel 1998 il Museo Nacional de Bellas Artes di Buenos Aires ospita una sua ampia retrospettiva. Con il titolo Sinopie esce nel 2000 una sua raccolta di scritti e riflessioni sull’arte; a Meina, sul Lago Maggiore, crea la Fondazione Europea del Disegno.

Edmondo Bacci: la vita, le opere, le esposizioni

Edmondo Bacci nasce a Venezia nel 1913. Dal 1932 al 1937 frequenta l’Accademia di Belle arti di Venezia, allievo di Virgilio Guidi e Guido Cadorin. Sin dal 1934 partecipa alle collettive dell’Opera Bevilacqua La Masa di Venezia e alle iniziative organizzate alla Piccola Galleria di Venezia dove trovano ospitalità gli artisti d’avanguardia del momento. In questi anni inizia per Bacci il duraturo rapporto con il gallerista Carlo Cardazzo che, col fratello Renato, dirige la Galleria del Cavallino A Venezia. Proprio Cardazzo nel maggio 1945 ospita la sua prima personale.
Marghera, fulcro della rinascita economica post bellica, e le suggestioni offerte dalla luce della laguna filtrata dalle lamiere metalliche e dai fumi delle ciminiere, sono le ispirazioni che Edmondo Bacci trasferisce nei “Cantieri” e nelle “Fabbriche”, tele eseguite attorno al 1950, in cui l’artista matura la funzione spaziale del colore destinata a divenire protagonista nei suoi lavori successivi. La prima partecipazione alla Biennale di Venezia risale al 1948, dove tornerà con costanza fino al 1958, anno della sua sala personale.
Nel 1952 attorno alla Galleria del Cavallino si registrano le prime manifestazioni del gruppo dello Spazialismo veneziano, movimento cui Edmondo Bacci aderirà nel settembre 1953. Le riflessioni pittoriche del momento vedono il progressivo abbandono del segno e della struttura già peculiari delle “Fabbriche” per cedere il passo a una nuova intensità espressiva del colore che porterà l’artista a realizzare i cicli deli “Avvenimenti” e delle “Albe”.
Alla metà degli anni ’50 risale l’incontro con Peggy Guggenheim, collezionista di Tancredi nonché amica di Giuseppe Santomaso e Emilio Vedova, che diverrà sua fervida sostenitrice. Dopo la sua mostra alla Galleria del Cavallino nel 1956, l’anno seguente tiene un’importante personale negli Stati Uniti, alla Seventy-Five Gallery di New York in occasione della quale numerose opere entrano in importanti collezioni americane, fra cui l’Albright-Knox Art Gallery di Buffalo. Partecipa, quindi, a varie collettive del movimento spaziale, tra cui Espacialismo alla Galeria Bonino di Buenos Aires nel 1956.
Nel 1957 espone alla Galleria del Naviglio a Milano, alla Galleria d’Arte Selecta di Roma; partecipa, inoltre, alla mostra Between Space and Earth alla Marlborough Gallery di Londra. Segue la sua partecipazione a numerose esposizioni in Europa e negli Stati Uniti: nel 1961 alla Drian Gallery di Londra e alla Galerie 59 di Aschaffenburg in Germania; nel 1962 alla Frank Perls Gallery di Beverly Hills; nel 1963 alla Neue Galerie di Graz. L’anno successivo figura al Carnegie Institute di Pittsburgh e nella mostra della Peggy Guggenheim Collection alla Tate Gallery di Londra.
Tra il 1965 e il 1966 espone al Columbia Museum of Art, Columbia, e nella sede della Renaissance Society, Chicago. Nel 1974 ottiene la cattedra di Pittura all’Accademia di Belle Arti di Venezia, che terrà sino all’anno della sua improvvisa scomparsa nel 1978. Importante è l’antologica del 2023 alla Peggy Guggenheim Collection di Venezia.

Giacomo Balla | Biografia, Opere, Esposizioni

Giacomo Balla nasce a Torino nel 1871. Intorno al 1891 frequenta per alcuni mesi l’Accademia Albertina sino al 1895, quando si trasferisce con la madre a Roma, dove stringe amicizia con Duilio Cambellotti e Serafino Macchiati. Si avvicina al Divisionismo in chiave sociale di Morbelli e Pellizza, interessandosi inoltre al mondo degli emarginati e partecipando all’attività della Scuola della Campagna Romana di Giovanni Cena. Trascorsi sette mesi a Parigi, nel 1900, rientrerà a Roma. Il suo studio in via Porpora a Roma è frequentato da Severini e Boccioni. Nel 1903 partecipa per la prima volta alla Biennale di Venezia e nel 1909 espone al Salon d’Automne a Parigi, e al Salone di Odessa.

Nel 1910 con Boccioni, Carrà, Russolo e Severini sottoscrive il Manifesto dei pittori futuristi e La pittura futurista – Manifesto tecnico. Nel 1910 e 1912 partecipa all’Esposizione Internazionale di Buenos Aires. Fra il 1911 e il 1912, Balla approfondisce il tema del movimento, in opere come Bambina che corre sul balcone (Civica Galleria d’Arte Moderna, Milano), Dinamismo di un cane al guinzaglio (collezione Goodyear, Buffalo); Velocità d’automobile (Museum of Modern Art, New York).

Nel ciclo delle Compenetrazioni iridescenti (1912-14), lo studio della funzione dinamica della scomposizione della luce è reso attraverso composizioni astratte basate su innesti di forme triangolari. Nel 1912, anno in cui decora la casa dei Lowenstein a Düsseldorf, Giacomo Balla partecipa alle mostre del gruppo futurista a Roma, Rotterdam, Berlino e Firenze. Nel 1913 mette all’asta tutte le sue opere figurative annunciando: “Balla è morto. Qui si vendono le opere del fu Balla”. Nel 1914 inizia a comporre “parolibere” e partecipa all’attività interventista del gruppo futurista. Pubblica il manifesto Il Vestito Antineutrale.

Nel 1915 è arrestato insieme a Marinetti. Assieme a Depero pubblica il manifesto Ricostruzione futurista dell’Universo accogliendo il suggerimento di Marinetti dell’opera d’arte come “presenza”, “oggetto” e “azione”. Inizia così un periodo di ricerche plastiche con materiali diversi (Linea di velocità + paesaggio, rilievo in bronzo, 1914). Sempre nel 1915 tiene un’importante mostra personale alla sala Angelelli a Roma. Nel 1916 sottoscrive con Marinetti, Corra, Settimelli e Ginna il Manifesto della cinematografia futurista. Collabora al periodico futurista fiorentino “L’Italia futurista” ed è impegnato nelle vesti di autore e attore nel film Vita futurista. Nel 1917 Giacomo Balla realizza al Teatro Costanzi a Roma, per i balletti russi di Diaghilev, la scenografia luminosa cinetica di Feu d’artifice di Strawinskij. Nel 1918 tiene una personale alla Casa d’Arte Bragaglia, a Roma, e pubblica nel catalogo il Manifesto del colore. Nel 1919 partecipa alla Grande Esposizione Nazionale Futurista alla Galleria Centrale in Palazzo Cova, a Milano. Nel 1920 entra nella direzione del periodico “Roma Futurista”.

Nel 1920-21 partecipa all’Exposition Internationale d’Art Moderne a Ginevra e a due altre mostre del gruppo futurista, una a Parigi e l’altra a Praga. Nel 1921 realizza la decorazione e l’arredamento del Bal Tik-Tak, una sala da ballo in stile futurista. Negli anni venti Giacomo Balla partecipa a gran parte delle mostre del gruppo futurista: a Macerata nel 1922, a Torino, a Roma, alla III Biennale romana e a New York nel 1925, alla Biennale di Venezia e a Boston nel 1926, a Bologna, a Torino, a Palermo e a Milano nel 1927, a Imola e a Torino nel 1928, a Fiuggi, a Roma, a Milano e a Parigi nel 1929, a Venezia, alla Biennale, nel 1930, a Roma, alla Quadriennale, nel 1931 e, ancora a Roma, nel 1932.
Nel 1925 con Depero e Prampolini è all’Exposition Internationale des Arts Décoratifs et Industriels Modernes. Nel 1926 collabora al giornale romano L’Impero, e nel 1927 con “Vetrina Futurista”. Nel 1929 sottoscrive con Benedetta, Depero, Dottori, Fillia, Marinetti, Prampolini, Somenzi e Tato il Manifesto dell’Aeropittura.

Nel 1937, l’anno dopo la sua partecipazione alla mostra Cubism and Abstract Art a New York, si distacca polemicamente dal Futurismo dichiarando che “l’arte pura è nell’assoluto realismo senza il quale si cade in forme decorative e ornamentali”. Dal 1948 torna a proporre opere degli anni futuristi. Tiene personali con opere futuriste a Roma e a Milano, alla Quadriennale romana nel 1951, a Firenze nel 1952, a New York nel 1954, a Roma nel 1956, a Parigi, a Milano, a Madison (Usa) e a Torino, nel 1957. Giacomo Balla muore a Roma il 1º marzo 1958.

 

Afro Basaldella: Biografia, Opere, Esposizioni

Afro Basaldella nasce a Udine nel 1912, terzogenito dopo Dino e Mirko Basaldella. Dal 1926 frequenta il Liceo Artistico di Venezia, diplomandosi nel 1931. Nel 1929 ottiene la borsa di studio della Fondazione Marangoni di Udine, con cui può recarsi a Roma con il fratello Mirko, dove entra in contatto con Cagli, Scipione e Mafai.

Nel 1932 si sposta a Milano, esponendo l’anno successivo alla Galleria del Milione, per raggiungere il fratello Mirko, divenuto nel frattempo allievo di Arturo Martini. Nel capoluogo lombardo ha la possibilità di conoscere artisti italiani dell’epoca, come Birolli, Ennio Morlotti e lo stesso Arturo Martini.
Presente alla seconda Quadriennale romana nel 1935, due anni dopo, nel 1937, tiene la sua prima mostra personale alla Galleria della Cometa a Roma. Del 1948 la personale alla Galleria dell’Obelisco, sempre a Roma.

Nel 1950 Afro soggiorna per otto mesi a New York, dove inizia una collaborazione ventennale con la Catherine Viviano Gallery. Abbandonata la fase neocubista, matura una personale cifra astratta.

È tra gli artisti presenti nella mostra The New Decade: 22 European Painters and Sculptors, itinerante in numerose città degli Stati Uniti. I suoi lavori figurano alla prima edizione di Documenta a Kassel. Intorno alla metà degli anni ‘50 Afro è già noto nel contesto internazionale; la sua fama è consacrata anche in Italia quando, nel 1955, entra a far parte della commissione per gli inviti della VII Quadriennale di Roma e l’anno successivo, nel 1956, ottiene il premio come migliore artista italiano alla Biennale di Venezia. Nello stesso periodo aderisce al Gruppo degli Otto, riunito intorno al critico e storico dell’arte Lionello Venturi. Sono gli anni in cui consolida la sua amicizia con Alberto Burri.

Nel 1957 Afro insegna al Mills College di Oakland. L’anno successivo ottiene la commissione per dipingere il murale Il giardino della speranza per la sede dell’Unesco a Parigi, opera eseguita nell’ambito di un progetto che include inoltre lavori di Karel Appel, Arp, Alexander Calder, Roberto Matta, Miró, Picasso e Rufino Tamayo. Gli anni 1959-’60 vedono Afro presente in rassegne internazionali: è invitato a II. Documenta a Kassel, vince il premio a Pittsburgh e il premio per I’Italia al Solomon R. Guggenheim Museum di New York, che acquista il suo dipinto Night Flight (1957). Nel 1961 James Johnson Sweeney, direttore del Guggenheim Museum di New York, gli dedica una monografia.

Tra le personali di questi anni si ricordino quelle tenute al Massachusetts Institute of Tecnology, Cambridge nel 1960, alla Galerie de France, Parigi, e alla Galleria Blu, Milano nel 1961. Tra il 1964 ed il 1965 alla Galerie im Erker a St. Gallen, quindi alla Galerie Räber, Lucerna, da Günter Franke a Monaco di Baviera. Del 1969-’70 è la vasta antologica curata da Bernd Krimmel alla Kunsthalle di Darmstadt, alla Nationalgalerie di Berlino, ed in seguito al Palazzo dei Diamanti a Ferrara.

Nei primi ’70 Afro inizia a manifestare problemi di salute. Muore a Zurigo nel 1976. L’anno dopo, Cesare Brandi gli dedica un’importante monografia. Nel 1978 la Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma rende omaggio all’artista con un’ampia retrospettiva. Nel 1992 l’opera completa viene esposta a Palazzo Reale a Milano. Nel novembre 1997 il Catalogo ragionato dell’opera di Afro viene presentato all’American Academy a Roma e l’anno successivo alla Fondazione Guggenheim di Venezia.

Renato Birolli | Biografia, Opere, Esposizioni

Renato Birolli nasce a Verona nel 1905. Intrapresi gli studi artistici all’Accademia Cignaroli di Verona, dalla quale viene espulso per “indisciplina e per eccessi nel canto”, Birolli decide di trasferirsi a Milano nel 1927. Affronta vari mestieri, oltre a realizzare alcune decorazioni ad affresco e grafite a Milano e Pavia, e nel 1929 inizia a lavorare come correttore di bozze per “L’Ambrosiano”, entrando così in contatto con Carlo Carrà ed Edoardo Persico, all’epoca direttore della Galleria del Milione.

Inizia allora per la sua carriera di pittore, in seguito scandita dall’adesione a vari gruppi artistici, un quinquennio contrassegnato dalla frequentazione di artisti come Manzù e Sassu e dall’ulteriore evoluzione di quello stile “ingenuo” che aveva affrontato nei paesaggi urbani del 1930-31. Nella nota galleria milanese espone dal 1932 Arlecchino (1931), San Zeno pescatore (1931), La sposa (1932), opere nelle quali l’artista dimostra l’intenzione di recuperare un linguaggio figurativo improntato a una spontaneità primigenia, pur prendendo le distanze da una prassi pittorica risolta unicamente nell’improvvisazione o nel virtuosismo tecnico.

Birolli cerca sempre per la sua pittura presupposti teorici, alimentati anche dall’attività di giornalista e confluiti nelle pagine dei suoi “Taccuini” a partire dal 1936. Nel frattempo, la sua partecipazione alla mostra dei “10 pittori” alla Galleria d’Arte di Roma, nel 1932, gli aveva fornito l’occasione di fare la conoscenza con Mafai e Mazzacurati e di avvicinarsi al gruppo della Scuola Romana. Nel 1935 cessano i suoi rapporti con Persico, rinsaldandosi invece l’amicizia con il critico Sandro Bini, e l’anno successivo Birolli compie il suo primo viaggio a Parigi alla scoperta della pittura di van Gogh, Cézanne e più in generale degli stimoli che la città francese era ancora in grado di offrire.

Il 1938 è l’anno in cui si verifica una nuova svolta. Diviene l’animatore del movimento milanese di Corrente; s’impegna nelle attività culturali promosse dalla rivista omonima ed espone in mostre collettive nonché in personali che dal 1940 si tengono alla galleria Bottega di Corrente, la stessa che nell’arco di un paio d’anni avrebbe cambiato la sua denominazione in Galleria della Spiga con il patrocinio di Alberto Della Ragione. A tale periodo risale la sua amicizia con Guttuso, Migneco e la frequentazione dei poeti ermetici. Dopo aver affrontato nei quadri del 1936-1937 tematiche impegnative come Il caos (1936), Eden (1937), Renato Birolli si volge a soggetti tratti dall’umanità emarginata; si pensi a Zingari (1938) o I saltimbanchi (1938). Il colore mantiene un ruolo predominante nella composizione che va conquistandosi chiarezza e forza strutturale maggiore. Nel 1937 e 1938 Birolli subisce la detenzione politica.

Scoppia la guerra e dopo qualche anno emergono i dissapori con Corrente. L’artista partecipa intanto a diverse azioni della Resistenza e si iscrive al partito comunista. Di tale periodo egli lascia una nutrita serie di disegni, noti come “Italia 44” e ispirati a personaggi e scene di vita contadina che saranno esposti nel maggio-giugno 1945 presso la Galleria Santa Radegonda di Milano.

Nel 1946 Birolli frequenta Santomaso, Vedova e Marchiori e il 1° ottobre dello stesso anno sottoscrive il Manifesto della Nuova Secessione artistica che segna l’atto di fondazione del “Fronte nuovo delle arti”, la cui prima esposizione si terrà presso la Galleria della Spiga nel 1947. Tra il 1947 e il 1949 egli si reca più volte in Francia, a Parigi e in Bretagna. I dipinti di tale periodo segnano il definitivo abbandono dell’Espressionismo vangoghiano che aveva caratterizzato la fase di Corrente, per accostarsi invece a tematiche post-cubiste desunte da Picasso posteriore agli anni ’30. La gamma cromatica, alquanto ridotta, rasenta effetti di monocromia inediti nella sua produzione pittorica, come in Gabbia e vaso di fiori (1948), Donna bretone (1949), Pesca in Adriatico (1950).

Intorno al 1950 prende a configurarsi il futuro “Gruppo degli otto”, oggetto di una famosa monografia di Lionello Venturi pubblicata nel 1952, impegnati nella comune ricerca di un’arte di respiro sovrannazionale. Grazie all’amico Afro, Birolli entra in contatto con Catherine Viviano, presso la cui galleria newyorkese terrà tre personali nel 1951, 1955 e 1958. Dal 1950-51 la natura e i personaggi dei luoghi scelti dall’artista per i suoi ritratti divengono l’esclusiva fonte di ispirazione per i suoi dipinti. I cicli di Porto Buso, Fossa Seiore o la serie di “Incendio alle Cinque Terre” e “Vendemmia alle Cinque Terre”, dichiarano ormai il suo indirizzo “astratto-concreto”, nel quale la potenza evocativa del colore e la ricerca di un equilibrio formale di elementi astratti assumono un ruolo predominante.

Nelle ultime opere del 1958 si compie la definitiva rarefazione dei referenti oggettivi; le composizioni sono strutturate rigorosamente e portano titoli suggestivi di ispirazione musicale come Canto italiano (1958), Ricerca del vero canto (1958), Bianco in contrasto (1959). Le opere di Birolli, presenti in collezioni pubbliche e private, sia italiane che straniere, ebbero a suo tempo estimatori e collezionisti nei Della Ragione, Jesi, Mondadori, Boschi e Cavellini. Renato Birolli muore a Milano nel 1959.

Umberto Boccioni | Biografia, Opere, Esposizioni

Umberto Boccioni nasce nel 1882 a Reggio Calabria da genitori romagnoli. Costretto a continui trasferimenti (il padre è impiegato di Prefettura), frequenta le scuole a Reggio Calabria, poi a Forlì, Genova, Padova e a Catania dove consegue il diploma dell’Istituto Tecnico, dimostrando già da quell’epoca grande interesse per la letteratura e, nonostante la votazione mediocre, per il disegno.

Nel 1899 in seguito a contrasti familiari va a vivere a Roma presso una zia e si iscrive alla Scuola Libera del Nudo, studiando contemporaneamente disegno dal cartellonista Matalani, ritenendo l’Accademia troppo antiquata e repressiva. Diviene amico di Gino Severini e di Giacomo Balla che, reduce da Parigi, esercita un’influenza decisiva sui due e sugli artisti che frequentano il suo studio a Porta Pinciana. È introdotto al Divisionismo e alla conoscenza della pittura francese contemporanea, come pure medita sulle esperienze simboliste di Sartorio, De Carolis, Pellizza da Volpedo, Meunier e Kimt. Si interessa alla situazione culturale, artistica e filosofica europea, maturando proprie convinzioni attraverso la lettura di Sorel, Nietzsche e Renan. Scrive anche un romanzo inedito (Pene dell’anima, 1900) e collabora con alcuni periodici. In particolare, assieme a Severini conduce studi sul paesaggio, dipingendo en plein air nella campagna romana, attento agli effetti luminosi dell’atmosfera.

Nel 1901 esegue il primo disegno noto, in occasione del compleanno della sorella Amelia e una Figura maschile. Nel 1904 espone un Paesaggio alla Mostra Annuale degli Amatori e Cultori di Roma e l’anno seguente si ripresenta con un Autoritratto. Vinto un concorso di pittura, dall’aprile del 1906 Umberto Boccioni soggiorna per cinque mesi a Parigi interessandosi alla pittura degli impressionisti, dei postimpressionisti e di Cézanne in particolare, approfondendo il rapporto uomo-natura e lo studio di una scansione marcata dei piani; va quindi in Russia (a Tzaritzin, Egoritzin, Mosca e San Pietroburgo), sostando durante il viaggio di ritorno a Varsavia e Vienna.

Al rientro in Italia (dicembre 1906) si stabilisce presso la famiglia a Padova dove trascorre un periodo di riflessione sulle esperienze vissute, dimostrando, come scrive nel suo Diario, una grande insofferenza per la limitatezza del panorama artistico internazionale, reso noto in Italia attraverso la Biennale di quell’anno. “Voglio dipingere il nuovo, il frutto del nostro tempo industriale”, dichiara nel suo Diario e intanto si volge a un Divisionismo nel quale prevale la creazione libera e spontanea sulla minuzia tecnica. Si trasferisce a Venezia dove si iscrive all’Accademia di Belle Arti (aprile 1907), ma dopo pochi mesi (agosto) raggiunge la madre e la sorella che nel frattempo si sono trasferite a Milano e vi si stabilisce. Dopo il disorientamento per il dilagare del Liberty e della Secessione vista in Austria e i dubbi vissuti durante il soggiorno padovano, a Milano trova invece una città propositiva, ricca di fermenti, in cui si mescolano tensioni anarchiche, ricerca del progresso, ideologie socialiste.

Il 2 marzo 1908 conosce Gaetano Previati del quale ha già letto la Tecnica della Pittura. Siamo così a una seconda fase del Divisionismo del Boccioni prefuturista, dal tocco filante che incorpora luce analogo a quello di Previati, attento all’aspetto psicologico, agli stati d’animo, alla realtà e alla società industriale. Nei ritratti infatti compaiono officine, paesaggi urbani in trasformazione, pieni di vitalità (Ritratto della madre, 1907; Autoritratto, 1908; Officine a Porta Romana, 1908) e di una enfatizzazione della luce vorticosa (Controluce, 1909-10). Contemporaneamente nella grafica subisce gli influssi del linearismo di Munch, Klimt, Dürer, Beardsley e anche del Previati delle illustrazioni per le Novelle di Poe. Sempre nel 1908 è presente con il pastello Interno all’Esposizione Nazionale di Belle Arti a Milano.

Fondamentale nel 1909 è l’incontro con Filippo Tommaso Marinetti, che proprio in quell’anno ha pubblicato sul “Figaro” del 20 febbraio il Manifesto del Futurismo e il 10 febbraio del 1910 con Russolo, Carrà, Balla e Severini Boccioni firma il Manifesto dei pittori futuristi che esalta, contro il passatismo, i miti moderni del progresso, cui segue il Manifesto tecnico della pittura futurista (11 aprile). Questo, che individua nel “movimento” la base della vita, per cui cose e figure si amalgamano a vicenda e lo stesso spettatore è virtualmente collocato al centro del dipinto, riflette nei fondamentali concetti di “dinamismo” e di “simultaneità” una interpretazione personale del concetto vitalistico di durata di Bergson. Per Umberto Boccioni infatti, diversamente da Balla e Russolo, la dimensione tempo non è intesa come successione di attimi, né il movimento come principio ottico della persistenza retinica. È considerato globalmente come una dimensione della coscienza (“durata”) in cui il ricordo di azioni svolte in un passato recente o lontano, viene percepito simultaneamente; ciò che interessa è il motivo dell’azione. A questo momento appartengono Il lutto (1910), raffigurante due vecchie, una dai capelli bianchi, l’altra rossi, sono ritratte simultaneamente in tre atteggiamenti di tragico dolore, e La città sale (1910-1911), un unico e simbolico turbine ascensionale che imbriglia un cavallo, un uomo e palazzi in costruzione. Nel luglio del 1910, Marinetti presenta una rassegna di quarantadue opere di Boccioni alla “Mostra d’estate” di Ca’ Pesaro a Venezia.

Nel 1911 Boccioni conosce la pittura cubista restandone influenzato. Nel 1912 pubblica il Manifesto della scultura futurista (11 aprile) nel quale, per la teoria dell’abolizione della linea “finita” e della statua “chiusa”, gli oggetti, i piani atmosferici e l’ambiente attorno alle cose si legano tra loro; si vedano Sviluppo di una bottiglia nello spazio e Antigrazioso (La madre), eseguiti entrambi nel 1911.

Nel 1913 realizza una serie di sculture che sintetizzano in maniera sempre più forte l’interazione tra spazio, materia, movimento (Forme uniche nella continuità dello spazio e Sviluppo di una bottiglia nello spazio). Nel marzo del 1914 pubblica il libro Pittura Scultura Futuriste (Dinamismo plastico) e l’inedito Manifesto dell’Architettura Futurista. Partecipa a tutte le mostre del gruppo futurista in Italia e all’estero fino al 1914. Nel 1915, con l’entrata in guerra dell’Italia, si arruola con altri amici futuristi nel Battaglione Volontari Ciclisti e parte per il fronte. L’esperienza della guerra lo porta a isolarsi e a rimeditare le sue idee. Nella pittura attenua sempre più l’elemento dinamico in favore di una plasticità cezanniana (Ritratto del Maestro Busoni). Dopo un periodo di congedo trascorso a Milano dal dicembre 1915 al luglio 1916, Umberto Boccioni viene richiamato alle armi e inviato a Sorte, nei dintorni di Verona, con un reggimento d’artiglieria da campagna, dove muore di lì a poco.

Gregorio Botta | Biografia, Opere, Esposizioni

Gregorio Botta nasce a Napoli il 18 aprile 1953. Nel 1980 si iscrive all’Accademia di Belle Arti di Roma, dove segue i corsi di Toti Scialoja, diplomandosi nel 1984. Dopo gli esordi, scanditi dalla partecipazione ad alcune rassegne tenutesi alla Galleria Rondanini e dalle sue prime personali alla Galleria Il Segno, entrambe a Roma, l’artista si impone all’attenzione della critica in occasione di alcuni importanti appuntamenti espositivi, tra cui Trasparenze dell’arte italiana sulla via della seta a cura di Achille Bonito Oliva, allestito a Pechino nel 1993, la XII Quadriennale e la Biennale dei Parchi alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna a Roma, tenuti rispettivamente nel 1996 e nel 1998, nonché la personale, anch’essa nel 1998, presentata da Ludovico Pratesi all’Istituto Italiano di Cultura a Colonia.

La cera, il piombo, il ferro, il vetro sono gli elementi con i quali Gregorio Botta pratica “un’arte del togliere, del poco, del meno, sperando di arrivare a un’arte del niente. Un’arte che sparisca e lasci solo, come una vibrazione, come un motore segreto, l’azione per la quale è nata” (Gregorio Botta, 2001).

Le sue sono forme archetipiche (il cerchio, il calice…) nelle quali torna a raccogliersi l’immagine, come cercando in esse un punto di lento affioramento di una verità sommersa, che riguarda il nostro essere più che il nostro apparire”. L’universo di sagome elaborato da Gregorio Botta appare dunque “silenzioso e cauto nello svelarsi; ovattato da quel biancore che l’avvolge, come se abitasse, e prendesse nutrimento, dall’amnio di un grembo; lento a confessarsi a chi guarda, con quel suo chiedere, sommessamente, uno sguardo lungo sopra di sé. Uno sguardo che scopra, alla fine, l’incanto: e non se ne spaventi” (Fabrizio D’Amico, 2001).

Nel 2006 presenta ai Magazzini del Sale a Siena una selezione di i lavori recenti, nei quali ritornano elementi peculiari del suo linguaggio in un singolare gioco di contrapposizioni: la leggerezza e la trasparenza del vetro, l’opacità e la durezza del ferro. Inedita è ora l’introduzione del movimento, che anima alcune istallazioni come La Porta di Pietro, ispirata alla Madonna del Parto di Piero della Francesca.

Alberto Burri | Biografia, Opere, Esposizioni

Alberto Burri nasce a Città di Castello, nella provincia di Perugia, nel 1915. Si laurea in Medicina nel 1940 e, arruolato come ufficiale medico, partecipa alle operazioni di guerra in Africa del Nord. Fatto prigioniero nel 1943 in Tunisia dagli inglesi, viene successivamente inviato nel campo di concentramento americano di Hereford, in Texas, dove inizia a dipingere. Tornato in Italia, nel 1946 si stabilisce a Roma per dedicarsi alla pittura. Del 1947 è la prima mostra personale alla galleria La Margherita di Gaspero del Corso e Irene Brin, con opere ancora di carattere figurativo. Nella sua seconda mostra personale: Bianchi e Catrami, sempre alla galleria La Margherita, nel maggio 1948, propone per la prima volta opere astratte. Successivamente inizia a elaborare i primi Catrami. Nel 1949 realizza SZ1, il primo Sacco stampato.

Nel gennaio 1951 partecipa alla fondazione del Gruppo Origine, insieme a Mario Ballocco, Giuseppe Capogrossi ed Ettore Colla e partecipa alla mostra inaugurale del gruppo, scioltosi l’anno dopo. Il 1952 si apre con la mostra personale Neri e Muffe, alla Galleria dell’Obelisco di Roma. Nel corso dell’anno si trasferisce in via Margutta: Robert Rauschenberg, presente a Roma per quasi un anno, visita lo studio di Alberto Burri, potendo così vedere i Sacchi.

Con le mostre di Chicago e New York del 1953 inizia il successo internazionale. Alberto Burri: paintings and collages è il titolo della prima mostra personale americana, allestita alla Allan Frumkin Gallery di Chicago tra gennaio e febbraio 1953, poi trasferita alla fine dell’anno nella newyorkese Stable Gallery di Eleanor Ward. Nel frattempo Burri conosce il critico James Johnson Sweeney, allora direttore del Solomon R. Guggenheim Museum di New York, che lo invita alla mostra Younger European Painters al Guggenheim Museum di New York. Segue, nel 1955, la sua partecipazione alla rassegna The New Decade: 22 European Painters and Sculptors al Museum of Modern Art di New York, nella rassegna internazionale al Carnegie Institute di Pittsburgh e alla Biennale di San Paolo del Brasile. La personale al Fine Art Center di Colorado Springs conferma la crescente fortuna di Alberto Burri in America, sostenuta da Sweeney che l’anno stesso firma la prima monografia dell’artista. Il 15 maggio 1955 sposa, a Westport (California), la ballerina americana d’origine ucraina Minsa Craig conosciuta a Roma l’anno precedente.

Burri, intanto, continua a realizzare numerose Combustioni (con legno, tela e plastica) e sperimenta le caratteristiche del legno. Il 1956 e 1957 sono scanditi da numerose mostre personali in Europa e negli Stati Uniti. Verso la fine del 1957 realizza i primi Ferri, in cui sfrutta le possibilità offerte dalla tecnica della saldatura nell’ambito di un lavoro bidimensionale. L’attività espositiva è piuttosto intensa nel 1959 e nei primi mesi del 1960. A giugno Burri ottiene una sala alla Biennale di Venezia, dove riceve il premio dell’Associazione internazionale dei critici d’arte. Nello stesso anno Giovanni Carandente realizzò il primo documentario della sua opera.

Un lungo viaggio tra Messico e Stati Uniti e i postumi di un delicato intervento chirurgico rallentano la sua produzione, sebbene continui a esporre in mostre personali e collettive. All’inizio degli anni ’60 si segnalano in successione ravvicinata, a Parigi, Roma, L’Aquila, Livorno, e quindi a Houston, Minneapolis, Buffalo, Pasadena, le prime ricapitolazioni antologiche che, con il nuovo contributo delle Plastiche, diventano vere e proprie retrospettive a Darmstadt, Rotterdam, Torino e Parigi (1967-1972). Tra dicembre 1962 e gennaio 1963, la galleria Marlborough di Roma ospita un’esposizione dedicata alle Plastiche che, dopo i Ferri, rappresentano una nuova, e inattesa, svolta. Alla fine degli anni Sessanta acquista una casa a Los Angeles (California) dove trascorse i mesi invernali fino al 1990.

Gli anni ’70 registrano una progressiva rarefazione dei mezzi tecnici e formali e un rinnovato impegno verso soluzioni monumentali. Nel 1973 inizia il ciclo dei Cretti. Nel 1976 Alberto Burri realizza il Grande Cretto Nero esposto nel giardino delle sculture Franklin D. Murphy dell’Università di Los Angeles (UCLA). Altra opera analoga è esposta a Napoli, nel Museo di Capodimonte. L’evoluzione più spettacolare è, tuttavia, rappresentata da quello di Gibellina (Trapani), di quasi 90.000 m² sulle macerie della vecchia Gibellina. I lavori, iniziati nell’agosto del 1985, vengono interrotti nel dicembre 1989 per mancanza di fondi. Nel 1977 espone in un’importante antologica al Solomon R. Guggenheim Museum di New York.

Fra i cicli concepiti con struttura polifonica si annoverano Il Viaggio (1979), presentato a Città di Castello e poi a Monaco di Baviera, Orti (1980) a Firenze, Sestante (1982 c.) a Venezia, Annottarsi (1984-86) alla Galleria Sprovieri a Roma e Annottarsi 2 (1987) alla Biennale di Venezia del 1988; nonché le grandi installazioni attualmente esposte agli Ex Seccatoi del Tabacco a Città di Castello, dove, per sua iniziativa, viene costituita la Fondazione Palazzo Albizzini Collezione Burri, preposta allo studio e alla tutela dell’opera dell’artista.

All’inizio degli anni ’90, Alberto Burri e la moglie Minsa Craig lasciano la California e si stabiliscono a Beaulieu-sur-Mer, in Costa Azzurra (Francia). Nonostante l’età avanzata prosegue la sperimentazione di nuovi materiali: l’ultimo suo lavoro è Metamorfex, un ciclo di nove opere presentate, dall’amico Nemo Sarteanesi, negli Ex Seccatoi. Burri muore a Nizza il 13 febbraio 1995, un mese prima del suo ottantesimo compleanno.

Massimo Campigli | Biografia, Opere, Esposizioni

Max Ihlenfeld, in seguito noto come Massimo Campigli, nasce a Berlino nel 1895. Dopo aver trascorso l’infanzia a Firenze, nel 1909 si trasferisce con la famiglia a Milano, dove entra in contatto con i gruppi futuristi. Nella prima giovinezza manifesta propensioni letterarie piuttosto che pittoriche; un suo scritto, intitolato Giornale + Strada. Parole in libertà viene pubblicato su “Lacerba” nel 1914. Durante la prima guerra mondiale cade prigioniero e viene deportato in Ungheria. Nel 1919 viene mandato a Parigi come corrispondente del “Corriere della Sera” e qui inizia la sua carriera artistica; nei primi duri anni trascorsi nella capitale francese, Campigli alterna il mestiere di giornalista a quello di pittore.

Massimo Campigli tiene la sua prima esposizione a Roma alla Galleria Bragaglia nel 1923. Durante il periodo di formazione rinnega il Futurismo e si accosta al Cubismo, da cui deriva il gusto per una rigida geometrizzazione delle figure. Egli si muove, da autodidatta, fra le esperienze più diverse, cercando di coniugarle. Fortemente influenzato dall’arte egizia, che lo avevano affascinato fin da bambino, si mostra sensibile anche alle suggestioni della pittura contemporanea, da Léger a Ozenfant a Carrà a Picasso. A Parigi entra in contatto con gli ambienti novecentisti ed entra a far parte del gruppo degli “Italiens de Paris”.

Nel 1928, rientrato a Roma per un breve soggiorno, scopre al Museo di Villa Giulia l’arte etrusca, che lo colpisce come una folgorazione. Rinnega le ricerche precedenti e inaugura la sua maniera tipica, cui rimane fedele sino alla fine: tele dai colori terrosi, dominate da presenze femminili di evocazione arcaica. Invitato l’anno stesso alla Biennale di Venezia, Massimo Campigli vi espone tredici opere. L’anno seguente partecipa alla II Mostra degli artisti italiani a Ginevra e tiene una fortunata personale alla Galerie Bucher di Parigi: i quadri esposti vengono tutti acquistati da musei e da collezionisti privati. Grazie al successo ottenuto, inaugura una serie di mostre in Italia e all’estero: dalla Galleria del Milione a Milano (1931) alla Jiulien Levy Gallery di New York (1932), all’Hasefer di Bucarest (1932).

Il pittore rimane a Parigi sino al 1933, quando la grave crisi economica che ha colpito allora l’Europa, lo costringe a rientrare a Milano. Qui firma, in dicembre, il Manifesto della pittura murale con Sironi, Carrà e Funi e, con la decorazione murale (ora perduta) del Palazzo dell’Arte, inizia un’intensa attività di freschista. Nel 1934 dipinge Le bagnanti e Le spose dei marinai, esposte con successo alla Quadriennale di Roma. Tre anni dopo esegue l’affresco I costruttori per il Palazzo di Giustizia di Milano, nonché la pittura per la parete del padiglione italiano alla Biennale veneziana. Nel 1938 una commissione formata da Carlo Anti, rettore dell’Università di Padova, Giuseppe Fiocco e Giò Ponti, approva il suo bozzetto per la decorazione dell’atrio del Liviano, sede della Facoltà di Lettere e Filosofia. L’anno successivo, in soli cinque mesi, Massimo Campigli completa il grande affresco. Durante la guerra vive tra Venezia e Milano.

Nel 1946 espone sessanta opere allo Stedelijk Museum di Amsterdam (che possiede ben otto suoi quadri). Alla Biennale di Venezia del 1948 gli viene dedicata una sala dove sono riunti ben ventidue suoi dipinti. Nel secondo dopoguerra l’importanza riconosciuta a Campigli come esponente di spicco della pittura italiana è attestata da una lunga serie di mostre in sedi prestigiose: Galerie de France, Parigi (1949); St. George Gallery, Londra (1950); Palazzo Strozzi, Firenze (1953); Civica Galleria di Arte Moderna, Torino (1960), sino alla grande antologica allestita in Palazzo Reale, Milano (1967). Dal 1949 in poi si dedica ininterrottamente alla pittura, alternando i suoi soggiorni, tra Parigi, Milano, Roma e Saint Tropez, dove muore nel 1971.