Home / Esposizioni / Marco Gastini, il respiro della pittura. Opere 1980-1990
a cura di Pier Giovanni Castagnoli
03.12.2016 — 30.04.2017
a cura di Pier Giovanni Castagnoli
03.12.2016 - 30.04.2017Dopo le prime ricerche degli anni ’60 e l’approccio analitico del decennio successivo, coinciso con una pittura estremamente rarefatta prossima ai territori praticati dalla contemporanea minimal art, dai primi anni ’80 il linguaggio di Marco Gastini si apre a una trasformazione radicale, rivelando un’inattesa apertura al colore e alla ricerca sui materiali. Da allora inizia un percorso che condurrà l’artista alle installazioni divenute peculiari del suo linguaggio, in cui la presenza di forme e oggetti di varia natura, che fuoriescono dai limiti della superficie, assumono inusuali valenze pittoriche.
Le numerose antologiche tenute all'Orangerie im Schlosspark Belvedere a Weimar nel 1998, alla Galleria Civica d'Arte Moderna e Contemporanea di Torino nel 2001 e alla Kunsthalle di Göppingen nel 2005, sino alla più recente rassegna “…ma un’estensione”. Gastini, Icaro, Mattiacci, Spagnulo allestita in Ca’ Pesaro a Venezia dal 26 settembre 2015, sono solo alcune tappe di un percorso che riconferma come Gastini sia una personalità che non ha eguali tra quelle della generazione “di mezzo” cui egli appartiene.
Con la mostra in programma alla Galleria dello Scudo dal 3 dicembre 2016, si punta lo sguardo agli anni ’80, quando nel linguaggio dell’artista irrompono quei “flussi di energia” che da allora in poi ne costituiranno la cifra peculiare. Attraverso una selezione di opere scelte tra le più significative del periodo, si ripercorrono le fasi di un’evoluzione espressiva scandita peraltro da importanti appuntamenti espositivi, come la personale L’ala della pittura presentata da Helmut Friedel alla Städtische Galerie im Lenbachhaus di Monaco di Baviera nella primavera del 1982, la sala riservata all’artista nel Padiglione Italia alla XL Biennale di Venezia dello stesso anno, l’antologica dal 26 marzo 1983 alla Galleria Civica di Modena, la mostra interamente dedicata al suo lavoro ordinata da Paolo Fossati al Padiglione d’Arte Contemporanea di Milano tra marzo e aprile 1984, insieme a varie altre rassegne in spazi pubblici e privati in Europa e oltreoceano, tra cui la prestigiosa John Weber Gallery di New York.
Il percorso espositivo si apre con Le tensioni esistono, vengono generate e si rigenerano in pittura I del 1981, opera di oltre tre metri di lunghezza, testimonianza emblematica della totale immersione di Gastini nella pittura. È il blu, dalle frequenze ora cupe ora elettriche, a dominare lo slancio creativo di questo periodo. Nonostante l’irregolarità e l’estroflessione dei bordi della tela, il flusso degli accadimenti pittorici prende un corso introverso, tenta una nuova vertigine del vedere. La superficie è invasa da stesure a gesti brevi e aggressivi, che intersecano il sottile variare d’intensità del colore con sovrapposizioni molteplici, come vibrazioni nervose. I segni neri, a carboncino, lunghi e filamentosi ma al tempo stesso secchi e urgenti, ora si distendono sulla superficie ora ne intaccano la già sovreccitata tensione. In luogo dei filamenti di stagno d’un tempo, sono ora carrube a segnare la reiterazione del segno, a porsi come elementi altri che frammentano ma pur tuttavia unificano la visione d’insieme.
Esposta nel 1982 alla Städtische Galerie im Lenbachhaus di Monaco di Baviera e alla Biennale di Venezia, l’opera è considerata come uno dei momenti cruciali nella ricerca dell’artista, riproposta nelle personali dell’anno successivo a Modena e del 1984 a Milano, e nuovamente in quella dell’estate del 1998 all’Orangerie im Schlosspark Belvedere di Weimar.
Toni vellutati emergono invece in Paravento del 1982, tra i lucori perlacei su cui si stagliano altri grigi più intensi e i lampi neri dei segni tracciati o graffiti su cui poggiano carboni e carrube. L’amalgama armonico da cui prendono respiro i bagliori lividi dell’inserto metallico, sono emblematici di una nuova percezione del colore. Anch’essa esposta nella personale al PAC di Milano nel 1984, l’installazione è scelta inoltre a rappresentare l’artista nella rassegna On language and ecstasy. A generation in Italian art itinerante nei musei finlandesi tra il settembre 1985 e il gennaio 1986. Carbone, ferro, oltre a piombo e altri materiali sono componenti chiamati a disporsi nuovamente sulla tela in altri lavori come Oriens del 1983 e Nella luce sopra i muri del 1983-1985, entrambi in questa mostra veronese.
Come afferma l’artista in un’intervista del 1987, “mi piace pensare a una tensione di energie, a un transito e movimento di forze. Non è tanto il colore del legno quanto il materiale che viene messo in evidenza… L’energia presente nei materiali incontra l’energia presente nell’azione della pittura. E poi c’è un altro dato di cui tener conto: i materiali che uso sono scelti, pensati, fissati secondo una idea di pittura; idea di pittura, o forse un sentimento o un ricordo.”
Per Qui, là, altrove del 1987 si possono riprendere le parole di Pier Giovanni Castagnoli dal catalogo della rassegna al Kunstnernes Hus di Oslo del 1986, da cui emerge un’ulteriore chiave di lettura dell’opera dell’artista in questo periodo: “Gastini dunque sistema gli oggetti come si trattasse di una natura morta, ma in realtà egli allude a un paesaggio, un paesaggio che si dilata sulla superficie pittorica in una concrezione di segni e di gesti, in una mutevole alternanza di espansioni e di concentrazioni, di affondamenti e di emersioni”.
Gli anni ’80 rappresentano dunque un decennio cruciale per l’artista, contrassegnato dall’ingresso nel suo lessico di materiali inusuali: supporti trasparenti e lievi come vetro o pergamena; metalli quali ferro, rame o stagno; elementi naturali come carbone o carrube, scelti per la particolarità della forma e della componente cromatica; travi di legno provenienti da case di montagna, segnate dal tempo e dall’azione dell’uomo, analogamente a rami, tronchi o traversine di binari scelti come tracce destinate a ripartire o inquadrare l’immagine. Gastini concepisce la totalità del processo creativo al pari di un organismo vivente, la cui vita è data non dalla proprietà specifica delle singole componenti, ma dall’equilibro armonico dell’insieme in cui il gesto pittorico assume sempre un ruolo primario.
Attraverso alcuni altri lavori del 1987 come I segni mormorano nella conchiglia, presentato nel 1988 da John Weber a New York, o Il senso dei segni, scelto per le personali nei musei di Weimar nel 1998 e Torino nel 2001, il percorso espositivo si chiude con Il profumo della rugiada del 1989-1990 di oltre due metri di altezza, la cui impostazione compositiva è imperniata su una serie di carte e lastre trasparenti dipinte che si aprono a ventaglio appoggiate su una base che le trattiene e le ancora al suolo.