Home / Esposizioni / Giuseppe Gallo il teatro assurdo del viandante
a cura di Laura Cherubini
02.12.2017 — 30.04.2018
a cura di Laura Cherubini
02.12.2017 - 30.04.2018Sin dagli esordi Giuseppe Gallo dimostra una varietà espressiva che oscilla tra il ricorso a tecniche antiche e sperimentazione di nuovi procedimenti, tra istanze concettuali e amore per la tradizione. Il suo linguaggio, colto nella trama di rimandi culturali e nella formulazione di un cifrario simbolico che stimola il confronto col passato, nasce dal connubio di forme geometriche ed elementi figurativi, spesso articolati in strutture complesse e ispirati, nei loro molteplici significati, a un universo di riferimenti, dalla musica alla letteratura, dalla filosofia alla scienza.
Presente nelle mostre dedicate nei primi anni ’80 al gruppo romano di San Lorenzo nei musei del Nord Europa e dopo le personali a New York da Gian Enzo Sperone nel 1986 e 1987, Gallo procede lungo un percorso scandito da importanti appuntamenti espositivi, come la sezione monografica alla XLIV Biennale di Venezia nel 1990. Con l’opera San Nicola da Tolentino del 1996 figura nella collezione permanente del Museum Moderner Kunst Stiftung Ludwig, Vienna.
Invitato nel 2000 nella rassegna Trialogo con Anthony Gormley e David Hammons al Palazzo delle Esposizioni a Roma, quattro anni dopo riunisce sculture di grande formato nella mostra Percorso amoroso alla Galleria Civica d'Arte Moderna di Spoleto, e nell’aprile 2005 allestisce la personale Mito-rito-sito alla Galleria dello Scudo a Verona. Seguono le sue presenze in altre iniziative di rilievo internazionale: tra esse, la seconda Biennale internazionale di Pechino nell’autunno 2005 e l’antologica, a cura di Danilo Eccher, al MACRO a Roma nell’inverno 2007-2008, poi trasferita nei musei di Mannheim e Saint-Étienne. Tra il 2009 e il 2010 figura in varie esposizioni allestite in sedi pubbliche, tra queste Italia Contemporanea. Officina San Lorenzo, MART, Rovereto e Keep your seat: stai al tuo posto, Galleria d’Arte Moderna, Torino. Una notte ho provato a uccidere un sogno. Da allora non mi sono più svegliato è il titolo dell’ampia panoramica sui molteplici esiti del suo linguaggio che gli viene dedicata al Castello Normanno-Svevo di Cosenza dal 31 ottobre 2015.
Nel novembre 2016 il quadro Senza titolo, 2011, proveniente dalla Collezione Chiara e Francesco Carraro, viene presentato all’asta Christie’s a New York, stabilendo il record di vendita per l’artista. Stimato $ 40.000 - 60.000 viene infatti aggiudicato a $ 300.000 ($ 367.500 commissioni comprese).
Gallo torna ora a esporre alla Galleria dello Scudo mettendo in scena dal 2 dicembre 2017 Il teatro assurdo del viandante. Il titolo lascia intendere la volontà dell’artista di proporre al viandante, ovvero allo spettatore, un allestimento che riunisce lavori recenti – quadri di grandi dimensioni, sculture e installazioni – sorprendenti e innovativi, realizzati con procedimenti sperimentali, anzi spericolati, accostati fra loro senza un nesso logico.
I quadri sono composti di frammenti ricavati da immagini che non si possono ricostruire, di cui l’artista non permette di trovare traccia mnemonica; anzi, lui stesso, visto il processo usato, non è più in grado di recuperarne la forma originaria. Come nelle pratiche archeologiche, si tratta di ricomporre i cocci, nell’impossibilità però di ritornare all’unità del reperto.
Opera centrale della mostra è Loggia dei sogni, composta di una miriade di elementi multicolori che si manifestano secondo un ordine che riflette la logica del processo della natura. Con un’ardita inversione del procedimento archeologico di ricomposizione dell’oggetto, il piano di fondo viene realizzato alla fine, dopo l’applicazione dei frammenti. È il risultato dell’unione di quattro tecniche tradizionali che vanno a formarne una nuova: olio, acquarello, tempera e affresco. Il modello sembra essere quello della costruzione musicale. Tutto ciò che è il risultato di una deflagrazione viene infine asportato rendendo visibile lo sfondo chiaro che si alterna al colore in un procedimento di sottrazione.
Nei dipinti le immagini vengono sovrapposte le une sulle altre; sembra quasi che si ritaglino da sole, assumendo forme diverse. C’è anche qualche lettera che affiora, non riconducibile tuttavia a un significato. In un caso appare la frase “Gallo è matto”, ridotta in brandelli disseminati nel quadro. Le forme nascono inizialmente come sagome nere su vetro; vengono poi dipinte a olio, quindi staccate e ridotte in frammenti. Il procedimento è intenzionalmente laborioso, lento e complesso.
Una sala della Galleria è divisa in due da un’installazione site specific in bronzo concepita come una membrana autoportante, rielaborazione di un’idea del 2015 che vide l’opera realizzata con tronchi d’albero tagliati e riquadrati. Quinto quarto, 2017, segna al tempo stesso una chiusura e un’apertura, disegna uno spazio trasparente. È un ulteriore momento di riflessione sulle relazioni tra uomo e natura conseguente alla consapevolezza per cui “la natura delle cose non possiede rigidità proprie, ma ha nell’equilibrio il criterio dominante delle sue creazioni”.
In un’altra sala figura un esemplare di “pollaio” (dal titolo equivocante Galleria), a grandezza naturale. Si tratta di unità abitative, non per uomini, ma per animali da cortile, volatili che non si levano in volo. All’operazione non è estranea l’ironia tutta italiana sul cognome stesso dell’artista. Le scale di questi pollai sono assolutamente irripetibili, come le gambe delle sue precedenti sedie-sculture; le sagome, mai identiche tra loro, derivano da quelle dei rami in natura. I tetti sono fatti di legno, di rame o con le lastre di piombo dell’amico Nunzio.
Nella mostra non figurano solo quadri. Oltre a una serie di singolari “palle di cannone”, in cui ritornano elementi tipici del suo repertorio iconografico come il filosofo, il centro-vortice, il dromedario e la mano, l’artista ha previsto un gruppo di cinque autoritratti in bronzo diversi tra loro ̶ Ho la testa confusissima, 2016 ̶ che sembrano rispondere a una delle finalità del progetto espositivo, ovvero quella di creare incidenti. Infatti, il ripiano del dispositivo già predisposto nel suo studio, tirata una corda, si apre e lascia cadere ineluttabilmente la testa in creta fresca che nell’impatto si deforma, per poi essere fusa in bronzo. È un modo del tutto non convenzionale per introdurre nel suo lavoro la componente dell’imprevedibilità così come della perdita d’identità.
Ancora, Taci. Ho un peso un po’ romantico sulle spalle è il titolo di un altro autoritratto deformato, di recente esecuzione e dalla forte valenza iconica, in cui il volto appare schiacciato da un pugno violento. Anch’esso è stato realizzato prima in creta, poi in cera, quindi in bronzo.
Se spunto iniziale per molte opere è l’ironia del giocare con sé stesso, in esse affiora anche quel lasciarsi andare dell’artista alla memoria dell’infanzia che lo induce a recuperare le tecniche antiche e ad affinare quella sensibilità per la materia, prerogativa essenziale nel restauro. Il padre infatti era restauratore e coinvolgeva nel proprio lavoro il figlio, cui ripeteva: “l’arte è logica”. “Passavo la mia infanzia a restaurare affreschi, avevo i materiali in casa, dipingo da quando avevo tre anni”, ricorda Gallo. Ha imparato in casa, da piccolo, che l’arte è frutto anche di un processo razionale; ciononostante ha voluto regalarci un teatro dell’assurdo. Il titolo della mostra, quindi, si riferisce non solo allo spettatore, invitato a un viaggio paradossale nella pittura e nella natura, ma anche all’artista viandante che percorre la strada insieme a noi.