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a cura di Ester Coen, Licisco Magagnato e Guido Perocco
01.12.1985 — 31.01.1986
a cura di Ester Coen, Licisco Magagnato e Guido Perocco
01.12.1985 - 31.01.1986La mostra Boccioni a Venezia, organizzata da Galleria dello Scudo e dal Museo di Castelvecchio, tenutasi a Verona nell’inverno 1985-1986, analizza i rapporti che la figura di punta del Futurismo ha avuto con il vivace contesto artistico legato alle esposizioni veneziane a Ca’ Pesaro, ai primi del ’900 punto di riferimento per le nuove tendenze ispirate al modernismo e alle novità d’oltralpe, e con il movimento che lo vede protagonista.
La rassegna, realizzata col patrocinio della Regione del Veneto, si articola in due sezioni distinte ma complementari, in una proficua collaborazione tra iniziativa pubblica e privata: la prima, “Dagli anni romani alla mostra d’estate a Ca’ Pesaro”, riunisce alla Galleria dello Scudo oltre cinquanta dipinti e un nucleo di disegni, pastelli e incisioni datati tra il 1902 e il 1910; la seconda, “Momenti della stagione futurista”, è allestita al Museo di Castelvecchio con dipinti degli anni tra il 1910 e il 1916.
Nella prima sezione, il percorso espositivo si apre con le prime sperimentazioni di Boccioni negli anni della formazione, con Severini e Sironi, alla scuola di Giacomo Balla: Campagna romana (1903), prestato dal Museo Civico di Belle Arti di Lugano, è un saggio di prim’ordine della “nuova tecnica moderna del ‘divisionismo’”. Prosegue con la documentazione dei viaggi nel 1906 a Parigi e in Russia; durante i mesi trascorsi a Tzaritzin dipinge il grande Ritratto di Sophie Popoff, l’unica tela conosciuta del soggiorno russo rimasta a lungo ignota e ritrovata all’estero poco prima della mostra veronese. Viene proposto, quindi, un inedito approfondimento sul periodo trascorso tra Padova e Venezia, quando maturano esiti pittorici imperniati su una nuova concezione dell’energia luminosa e sull’uso del colore frantumato in una fitta tessitura. Prove mirabili di questa nuova fase sono Ritratto di scultore e Canal grande a Venezia, entrambe del 1907. Il forte legame con la madre, cui spesso fa visita durante l’anno, è testimoniato da alcuni lavori su carta, tra i quali il ritratto a pastello inviato dai Musei e Gallerie Pontificie della Città del Vaticano.
Ancora nel 1907, con l’arrivo a Milano, nella “grande città”, una nuova energia si manifesta in una serie di dipinti presenti nella mostra, come La Signora Massimino ultimato l’anno seguente, di particolare interesse per la veduta di strada inquadrata nella finestra, e l’Autoritratto (1908) proveniente dalla Pinacoteca di Brera, in cui Boccioni si rappresenta prepotentemente in primo piano, inserendo per la prima volta sullo sfondo un accenno alla periferia milanese. Un dipinto, questo, di cui ora si rende visibile il retro raffigurante un autoritratto del 1905-1906 ritrovato dopo un recente restauro.
L’ultimo passo prima del futurismo è ricostruito presentando alcune tra le più significative delle quarantadue opere esposte nel 1910 alla Mostra d’estate in Palazzo Pesaro a Venezia, allora introdotte in catalogo da Filippo Tommaso Marinetti. Ecco, dunque, Ritratto femminile (1909), il vibrante pastello con la figura in controluce di proprietà della Galleria Internazionale d'Arte Moderna Ca’ Pesaro di Venezia e, ancora del 1909, Mattino e Crepuscolo che restituiscono due visioni di un paesaggio dove già si avverte la trasformazione industriale. Il ruolo da protagonista è quello della Maestra di scena (1910), quadro di “anticipata marca futurista” che, per l’“acrobatismo pittorico”, suscita all’epoca tiepide reazioni nel pubblico. Sarà al termine dell’esposizione veneziana che il sodalizio tra Boccioni e Nino Barbantini, di Ca’ Pesaro il grande animatore, giungerà a conclusione.
Infine, la sezione alla Galleria dello Scudo si arricchisce di un nucleo di opere che evidenziano i rapporti di Boccioni con artisti italiani incontrati tra Roma e Parigi. Figurano, quindi, Il gorgo (1899-1900) di Duilio Cambellotti, bronzo rivelatore della predisposizione a una conoscenza in senso antiromantico delle masse esposte alla luce; Ritratto della signora Pisani (1901) di Giacomo Balla, grande tela di stampo ottocentesco in cui già si avverte l’apertura verso nuove sperimentazioni; Dintorni di Roma (1903) di Gino Severini, coniugazione del tutto personale del linguaggio pittorico divisionista; Interno con la madre che cuce (1905 c.) di Mario Sironi, inquadratura di schema segantiniano resa con pennellate immediate e luminose.
In chiusura, viene ricostruito il confronto con le figure che animano il contesto veneto più aperto ai nuovi stimoli d’oltralpe: tra queste, Felice Casorati, Tullio Garbari, Arturo Martini e Gino Rossi. Sono in mostra il Ritratto della sorella Elvira, dipinto eseguito da Casorati per la Biennale di Venezia del 1907 e certamente notato da Boccioni in quell’occasione; Salice piangente (1907-1909) di Garbari, esempio della complessità degli stimoli di una formazione mitteleuropea; nonché l’inedito Ritratto di pescatore con paesaggio (1909 c.) di Gino Rossi e La prostituta (1909-1913) di Arturo Martini proveniente dalle collezioni pubbliche veneziane, due lavori dalla prepotente espressività che risentono, rispettivamente, della forte intensità cromatica fauve e delle influenze dell’arte africana allora in voga a Parigi.
Inoltre, un ricco apparato documentario, composto da fotografie, lettere e scritti, alcuni dei quali inediti, offre un interessante corollario per approfondire alcuni aspetti del contesto storico-artistico preso in esame.
La seconda sezione della mostra, allestita al Museo di Castelvecchio, comprende una selezione di dipinti futuristi da raccolte pubbliche e private eseguiti fra il 1910 e il 1914, a testimoniare gli esiti ulteriori del linguaggio boccioniano. Tre di essi provengono dalla Pinacoteca di Brera: Rissa in Galleria (1910) già donazione Jesi, Elasticità (1912) e Il bevitore (1914) entrambi parte del deposito Jucker. Se il primo quadro rivela il tentativo dell’artista di sviluppare una tensione energetica con una tecnica ancora divisionista, gli altri due confermano il definitivo passaggio alla ricerca sulla compenetrazione dei piani con una libertà espressiva del tutto originale. L’interesse plastico per la figura è la dominante in Antigrazioso (1912), ritratto con rimando al primitivismo picassiano appartenuto a Margherita Sarfatti. Di pari importanza è la provenienza di Forme plastiche di un cavallo (1913-1914), la piccola tela che Giuseppe Sprovieri volle per sé dopo le esposizioni a Roma e a Napoli nelle sue gallerie.
Arricchiscono ulteriormente la sezione tre lavori in prestito dal CIMAC - Civico Museo d’Arte Contemporanea di Milano, dono Ausonio Canavese: Dinamismo di un corpo umano (1913) dai cromatismi violenti dove forma e luce assumono un valore assoluto, quindi Sotto la pergola a Napoli (1914) e il sintetico Dinamismo di una testa d’uomo (1914), riconducibili alla fase in cui Boccioni recupera la solidificazione dell’immagine attraverso i volumi. Se Cavallo + Cavaliere + Caseggiato (1913-1914) dalla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma preannuncia il ritorno a una luminosità postimpressionistica in un’analisi che porterà alla diretta meditazione su Cézanne, il Ritratto della signora Busoni (1916) segna l’avvenuta svolta in questa direzione, l’ultima sperimentazione possibile prima della morte.
Il catalogo, edito per l’occasione da Mazzotta, reca i saggi dei curatori della mostra: Ester Coen, co-autore nel 1983 del Catalogo generale di Boccioni, Licisco Magagnato, direttore dei Musei Civici di Verona, e di Guido Perocco, già direttore dei Musei Civici di Venezia. Ulteriori contributi nel volume sono di Marco Rosci e di Walter Schönenberger, direttore del Museo Civico di Belle Arti di Lugano.