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14.12.2019 — 30.04.2020
L’opera di Arcangelo Sassolino ha origine dalla compenetrazione tra arte e fisica. Il suo interesse per la meccanica e per la tecnologia apre a nuove possibilità di configurazione della scultura e di indagine sulle energie latenti della materia. Velocità, pressione, gravità, tensione costituiscono le basi di una ricerca rigorosa, sempre protesa a sondare il limite ultimo di resistenza e di non ritorno. I lavori consistono solitamente in congegni che generano performances inorganiche. Si animano, si consumano, vivono di contrasti di forze e di conflitti intrinseci, contemplando il rischio del collasso quale parte fondamentale dell’esperienza. Attraverso differenti stati della materia si affermano i concetti di caducità, imprevedibilità, incompatibilità, pericolo e fallimento: aspetti altrettanto ineludibili della condizione umana.
Nella mostra personale ora in programma a Verona, la sua prima alla Galleria dello Scudo, Sassolino presenta una selezione di opere create espressamente per l’occasione, in cui appaiono evidenti le strette relazioni fra esiti apparentemente inconciliabili per tipologia, ma in realtà parte di un percorso unitario focalizzato sul ripensamento del concetto di fragilità, metafora dell’effimero esistenziale. È una riflessione che connota fortemente la più recente sperimentazione dell’artista.
La rassegna si apre con l’installazione performativa D.P.D.U.F.A. (Dilatazione Pneumatica Di Una Forza Attiva) proposta in una versione di recente esecuzione. Collocata all’interno di una teca d’acciaio e protetta da lastre di policarbonato, una bottiglia di vetro è collegata a una bombola di azoto. Il gas vi fluisce all’interno in modo graduale. La pressione aumenta lentamente finché, in un attimo imprevedibile, il vetro esplode con violenza e si disintegra.
“Credo che applicando alla materia quelli che la fisica definisce i fenomeni naturali… si possa dare una possibilità nuova alla scultura. E se vuoi tirare fuori qualcosa di nuovo dalla solidità di certi materiali, devi farlo attraverso macchine che abbiano ‘muscoli’. Non puoi far esplodere una bottiglia soffiandoci dentro con una cannuccia che usi per bere un’aranciata. Detto ciò, questi congegni vanno costruiti. Devono essere funzionali e sicuri”. Sono queste alcune riflessioni dell’artista, che bene sintetizzano lo spirito da cui è scaturita quest’opera. “Il vetro contiene in sé una sottile minaccia. Ho usato la bottiglia nella sua basica banalità per farla diventare immagine degli improvvisi pericoli della vita. E per non parlare del mistero della solida trasparenza di questo materiale”.
La sola regola possibile del 2019 è una colonna che si leva da terra, composta da spesse lastre di vetro tagliate in modo irregolare e tenute assieme da una morsa d’acciaio che le stringe in un corpo unico, analogamente a quanto accade in Qualcosa è cambiato dello stesso anno, sospesa invece a parete. La forza comprimente esercitata dalla morsa che le regge e le compatta deve essere calibrata al punto tale da sostenerle senza provocarne la rottura.
In chimica il vetro è considerato un fluido, e come tale prelude a una condizione di labilità temporale. Questo concetto di precarietà è ravvisabile in Il vuoto attorno, un insieme che nasce dalla sovrapposizione di lastre trasparenti, spezzate e taglienti, legate tra loro da stringhe in materiale plastico o da pinze metalliche. Tutto è pensato per rimandare a una condizione apparentemente peregrina.
La mostra è inoltre l’occasione per ridefinire uno dei filoni della ricerca più recente di Sassolino: i cementi. Sono il risultato dello strappo della materia da una matrice. Rispondono all’intento di coniugare il bidimensionale col tridimensionale, la pittura con la scultura. Da un lato rivelano il gesto violento del lancio della materia, dall’altro portano con sé la memoria di una superficie immacolata: “solo nel momento dello strappo dal supporto in policarbonato si forma il contorno”, afferma l’artista, “e la superficie, levigata e lucida, viene esposta senza nessun intervento successivo. Questa opera è per me il sentimento del perimetro che non si risolve”. E’ uno sconfinamento nello spazio che rivela, quando il cemento si fa sottilissimo e frastagliato, il tentativo di espandere il gesto creativo verso l’infinito e rappresenta inequivocabilmente una cifra distintiva del linguaggio dell’artista.
La gravità genera la forma è il titolo di una serie di lavori di recente esecuzione ora proposti per la prima volta, pensati per essere collocati sia a terra che a parete. È un’ulteriore sperimentazione che porta la scultura ad assumere una forma di volta in volta determinata dal peso ovvero dalla quantità di materia imposta sulla matrice.
Incombente, anch’esso tra le novità alla Galleria dello Scudo, si manifesta come la prova del punto limite di criticità di una lastra di vetro che, sostenuta da un’intelaiatura d’acciaio, si incurva sino all’estrema sopportazione, deformata dall’imposizione di un grosso masso. Ne deriva un costante sentimento di suspence, generato dalla percezione di una frattura o di un collasso imminente. Il vetro, immateriale nella sua trasparenza, si flette pericolosamente sotto la spinta della forza di gravità, rivelando una sorprendente resistenza. Per Sassolino far emergere il potenziale che sta dentro la materia, “tirarle fuori qualcosa di nuovo, per farle dire la verità…” può contribuire a porre le basi per una nuova estetica. Snaturare il materiale, farne scaturire l’imprevedibile e al tempo stesso sfidarne la vulnerabilità, enunciare con forza la sua labilità, l’ansia e la fragilità: considerazioni, queste, che giustificano la provocazione che Incombente mette in scena.
Per l’occasione la Galleria dello Scudo ha pubblicato un catalogo in italiano e in inglese, introdotto da un testo di Francesco Stocchi, curatore per l’arte moderna e contemporanea al Museum Boijmans Van Beuningen di Rotterdam. Nello scritto vengono delineati gli sviluppi della ricerca di Sassolino negli ultimi tre anni, evidenziandone gli elementi di novità rispetto al lavoro precedente. Il catalogo reca inoltre un contributo di Jeffrey Uslip, già Deputy Director for Exhibitions and Programs / Chief Curator del Contemporary Art Museum di St. Louis, in cui viene proposto un inquadramento storico-critico dell'opera dell'artista. Il volume, riccamente illustrato, sarà corredato dalle fotografie di Agostino Osio - Alto Piano, scattate nello studio dell’artista e all’interno dello spazio espositivo per documentare l’allestimento.