Home / Esposizioni / Antonio Sanfilippo, segno e immagine dipinti 1951-1960
a cura di Fabrizio D'Amico e Francesco Tedeschi
12.12.2015 — 30.04.2016
a cura di Fabrizio D'Amico e Francesco Tedeschi
12.12.2015 - 30.04.2016La rassegna, organizzata in collaborazione con l’Archivio Accardi Sanfilippo di Roma, riunisce una selezione di dipinti realizzati tra il 1951 e il 1960, scelti a illustrare il percorso dell’artista che, dopo i primi lavori astratto-geometrici, giunge all’elaborazione di quel suo ‘segno’ inconfondibile, proliferante e sorvegliato al tempo stesso, che alla metà degli anni ’50 si manifesta in stretta sintonia con la cultura d’immagine dell’art autre di Michel Tapié, poetica allora dominante nella scena artistica internazionale.
Il titolo segno e immagine – citazione del noto saggio di Cesare Brandi del 1960 – evidenzia i due elementi che costituiscono il perno della ricerca di Sanfilippo, sempre in profonda e indissolubile relazione tra loro.
Sanfilippo deve la sua prima e già salda notorietà all’esperienza nell’ambito del Gruppo Forma, cui dà vita a Roma nel 1947 assieme a molti di coloro che saranno poi tra i principali interpreti del rinnovamento postbellico dell’arte italiana, da Perilli a Dorazio, da Turcato a Carla Accardi e Consagra, tutti allora in proficuo dialogo con l’Europa.
Da quella prima e radicale presa di posizione, Sanfilippo si muove costantemente nell’ambito dell’avanguardia astrattista sia italiana che europea. Sin dalla fine degli anni ’40, partecipa alle svariate attività dell’Art Club di Jarema e Prampolini, e affianca gli ex compagni di Forma nelle iniziative promosse dalla libreria-galleria Age d’Or, spazio che propone le pubblicazioni più aggiornate sulle sperimentazioni internazionali dove Sanfilippo tiene nel 1951 la sua prima personale romana, presentata da Cagli. In quel periodo è in contatto con il MAC milanese e con il Gruppo Origine.
Dal 1952, quando comincia a sondare le potenzialità del segno liberamente steso sulla tela, avvia la sua collaborazione con il gallerista Carlo Cardazzo, esponendo dapprima alla Galleria del Cavallino a Venezia, poi al Naviglio a Milano. Sono occasioni che gli consentono di confrontarsi con le ricerche degli spazialisti e di alcuni esponenti dell’informale segnico vicini allora a Michel Tapié, che nel 1956 lo annovera tra i protagonisti dell’art autre e nel 1958, dopo averlo presentato nella personale in gennaio alla Galleria d’Arte Selecta a Roma, lo invita a esporre in aprile a Osaka accanto a Pollock, Kline, de Kooning e ai giapponesi del Gruppo Gutai.
Il suo rapporto con il contesto internazionale si rafforza con la partecipazione, tra il 1957 e il 1958, alle iniziative della Rome-New York Art Foundation, importante luogo di incontro di artisti, collezionisti e critici del calibro di Herbert Read, James Johnson Sweeney e Lionello Venturi, e alla fine del decennio con le esposizioni alla New Vision Centre Gallery di Londra, punto di riferimento delle avanguardie più vitali in ambito europeo e del collezionismo anglosassone.
Il percorso della mostra, con trentasei opere, è suddiviso in tre sezioni che testimoniano di quel periodo decisivo della ricerca di Sanfilippo, situata fra le aspirazioni giovanili a un rinnovamento formale e l’espansione pluriforme del segno negli anni ’60. Si apre con tre lavori del 1951 in cui si riconosce il progressivo allontanamento dal linguaggio neocubista e lo spostamento verso un’astrazione più radicale, di stampo neoconcreto. Un cambio di direzione, questo, documentato da Azzurro, uno dei primissimi dipinti del 1951, scelto per l’importante rassegna Arte astratta e concreta in Italia- 1951 alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma.
Influenzato dall’opera matura di Kandinsky e di Hartung, nel 1953 Sanfilippo libera la struttura dei suoi quadri dalla rigidità delle forme geometriche, lasciando spazio a una gestualità più accesa che anima improvvisamente la superficie delle sue tele, come nel primo Senza titolo del 1953. Trova quindi un suo modo del tutto originale. Come appare evidente in un altro Senza titolo del 1953, l’uso di un particolare pennello gli permette di tracciare con un solo gesto un largo reticolo di linee parallele sull’intera superficie della tela, riconducendo così entro uno schema preciso la carica gestuale che si sta allora riversando nella sua pittura.
La seconda sezione della mostra è introdotta da Animale immaginario del 1955, a cui è affidato il compito di mediare tra le fitte tessiture del ’54 e il segno maggiormente individuato nei lavori tra il 1956 e l’inizio del ’57. Vi si può riconoscere, infatti, la prima elaborazione di quelle “galassie” sospese nello spazio caratteristiche delle sperimentazioni successive, come Rete complicata del 1957. È allora che si definisce il segno peculiare di Sanfilippo, equidistante dalla monadica “pietra da costruzione” di Capogrossi e dal tratto asciutto e aspro di Carla Accardi. Un linguaggio che, connotato da una gamma cromatica semplificata, suscita l’interesse e il ripetuto sostegno da parte di Michel Tapié.
La mostra si chiude documentando l’ultima fase del decennio, quando la composizione si organizza prevalentemente lungo l’asse verticale della tela, come in Senza titolo del 1957. Nello spazio, svuotato e scavato nel nulla, prendono corpo, si accendono e divampano, fra esplosioni e cascate di luce, le sue nuove “figure” celesti. Quindi, nel ’59 e nel ’60, il suo universo torna a saturarsi di un colore denso, oscuro. Sanfilippo sembra allora farsi prossimo alle ragioni del più drammatico e coinvolto informale italiano.
Questo suo turbamento si traduce in un segno che si allunga, filante, che si flette e si ammatassa, immerso in un gorgo di materia in subbuglio, come avviene in Metamorfosi del 1960. Poco dopo, ancora nel ’60, quel groviglio si spaccherà in due corpi distinti, sospesi in un’atmosfera rarefatta, come provano i lavori a chiusura della mostra, che annunciano le immagini tipiche del decennio successivo.
Per l’occasione viene pubblicato un ricco volume edito da Skira, con i saggi di Fabrizio D’Amico e Francesco Tedeschi, cui si deve inoltre la conversazione incentrata sulla militanza di Sanfilippo nell’ambito del Gruppo Forma, che consente di delineare le premesse alla stagione matura della sua ricerca, oggetto della mostra. Nel “catalogo delle opere” ciascuno dei lavori esposti è analizzato criticamente da Paola Bonani, autore anche della dettagliata biografia che ricostruisce lo stimolante contesto nel quale l’artista opera in quegli anni, corredata da una raccolta di documenti e fotografie in parte inediti in collaborazione con Laura Lorenzoni. In chiusura, un’ampia sezione di apparati, il repertorio delle mostre personali tra il 1950 e il 1961 a cura di Elena Dalla Costa, e una antologia di lettere, recensioni e scritti, scelti a documentare i rapporti con personalità ed eventi che nel decennio hanno scandito la vicenda di Sanfilippo.