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22.02.1969 — 11.03.1969
La mostra personale di Agenore Fabbri in programma alla Galleria dello Scudo dal 22 febbraio 1969 documenta la ricerca plastica dell’artista toscano negli anni ‘50 e ’60. Dopo il giovanile impegno che lo vede, tra l’altro, negli anni ’30 attivo ad Albisola, dove entra in contatto dapprima con Arturo Martini e poi con Lucio Fontana, con cui inizia un rapporto di amicizia destinato a durare tutta la vita, nel secondo dopoguerra diviene una costante presenza nel contesto artistico non solo nazionale. Nel 1956 compie un viaggio di oltre tre mesi in Cina, dove espone alcuni suoi lavori a Pechino e in altre città del paese. Dopo di allora il suo percorso espositivo prosegue con la partecipazione alle Biennali di Venezia del 1952 e del 1960 (entrambe con una sala personale), a quelle di San Paolo del Brasile, e a numerose rassegne: negli Stati Uniti, a New York, Filadelfia e Boston, quindi in Europa, da Londra, Parigi e Stoccolma ad Anversa, Madrid, Zurigo, Monaco di Baviera e Atene, solo per citarne alcune. Ed è proprio alla stagione più intensa della sua ricerca espressiva che la mostra veronese rivolge attenzione.
Le sculture in bronzo e ferro eseguite fra il 1952 e il 1968 esposte per l’occasione, affiancate da alcuni lavori in legno policromo, documentano il repertorio espressivo dell’artista, scaturito dalla costante percezione di una realtà lacerata dalla tragedia. “I personaggi di Fabbri diventano più simbolici, ma solo perché la realtà è allusiva e sfuggente, corrosi e consumati, più disumani e innaturali: uomo di domani, uccello atomizzato, l'urlo, uomo di Hiroshima. Ma, a sua volta, l'atomica è un richiamo ad altri mondi, a un mondo che dopo l'esplosione non sarà più il nostro abituale paesaggio, ma il lavico, acre atlante dei personaggi lunari, marziani, delle Lacerazioni e delle Rotture”, così commenta Salvatore Quasimodo nel testo in catalogo.