Max Ihlenfeld, in seguito noto come Massimo Campigli, nasce a Berlino nel 1895. Dopo aver trascorso l’infanzia a Firenze, nel 1909 si trasferisce con la famiglia a Milano, dove entra in contatto con i gruppi futuristi. Nella prima giovinezza manifesta propensioni letterarie piuttosto che pittoriche; un suo scritto, intitolato Giornale + Strada. Parole in libertà viene pubblicato su “Lacerba” nel 1914. Durante la prima guerra mondiale cade prigioniero e viene deportato in Ungheria. Nel 1919 viene mandato a Parigi come corrispondente del “Corriere della Sera” e qui inizia la sua carriera artistica; nei primi duri anni trascorsi nella capitale francese, Campigli alterna il mestiere di giornalista a quello di pittore.
Massimo Campigli tiene la sua prima esposizione a Roma alla Galleria Bragaglia nel 1923. Durante il periodo di formazione rinnega il Futurismo e si accosta al Cubismo, da cui deriva il gusto per una rigida geometrizzazione delle figure. Egli si muove, da autodidatta, fra le esperienze più diverse, cercando di coniugarle. Fortemente influenzato dall’arte egizia, che lo avevano affascinato fin da bambino, si mostra sensibile anche alle suggestioni della pittura contemporanea, da Léger a Ozenfant a Carrà a Picasso. A Parigi entra in contatto con gli ambienti novecentisti ed entra a far parte del gruppo degli “Italiens de Paris”.
Nel 1928, rientrato a Roma per un breve soggiorno, scopre al Museo di Villa Giulia l’arte etrusca, che lo colpisce come una folgorazione. Rinnega le ricerche precedenti e inaugura la sua maniera tipica, cui rimane fedele sino alla fine: tele dai colori terrosi, dominate da presenze femminili di evocazione arcaica. Invitato l’anno stesso alla Biennale di Venezia, Massimo Campigli vi espone tredici opere. L’anno seguente partecipa alla II Mostra degli artisti italiani a Ginevra e tiene una fortunata personale alla Galerie Bucher di Parigi: i quadri esposti vengono tutti acquistati da musei e da collezionisti privati. Grazie al successo ottenuto, inaugura una serie di mostre in Italia e all’estero: dalla Galleria del Milione a Milano (1931) alla Jiulien Levy Gallery di New York (1932), all’Hasefer di Bucarest (1932).
Il pittore rimane a Parigi sino al 1933, quando la grave crisi economica che ha colpito allora l’Europa, lo costringe a rientrare a Milano. Qui firma, in dicembre, il Manifesto della pittura murale con Sironi, Carrà e Funi e, con la decorazione murale (ora perduta) del Palazzo dell’Arte, inizia un’intensa attività di freschista. Nel 1934 dipinge Le bagnanti e Le spose dei marinai, esposte con successo alla Quadriennale di Roma. Tre anni dopo esegue l’affresco I costruttori per il Palazzo di Giustizia di Milano, nonché la pittura per la parete del padiglione italiano alla Biennale veneziana. Nel 1938 una commissione formata da Carlo Anti, rettore dell’Università di Padova, Giuseppe Fiocco e Giò Ponti, approva il suo bozzetto per la decorazione dell’atrio del Liviano, sede della Facoltà di Lettere e Filosofia. L’anno successivo, in soli cinque mesi, Massimo Campigli completa il grande affresco. Durante la guerra vive tra Venezia e Milano.
Nel 1946 espone sessanta opere allo Stedelijk Museum di Amsterdam (che possiede ben otto suoi quadri). Alla Biennale di Venezia del 1948 gli viene dedicata una sala dove sono riunti ben ventidue suoi dipinti. Nel secondo dopoguerra l’importanza riconosciuta a Campigli come esponente di spicco della pittura italiana è attestata da una lunga serie di mostre in sedi prestigiose: Galerie de France, Parigi (1949); St. George Gallery, Londra (1950); Palazzo Strozzi, Firenze (1953); Civica Galleria di Arte Moderna, Torino (1960), sino alla grande antologica allestita in Palazzo Reale, Milano (1967). Dal 1949 in poi si dedica ininterrottamente alla pittura, alternando i suoi soggiorni, tra Parigi, Milano, Roma e Saint Tropez, dove muore nel 1971.