Gino Rossi nasce a Venezia nel 1884 da una famiglia agiata (il padre era amministratore del conte Bardi la cui famosa collezione di oggetti esotici confluirà nel Museo Orientale di Venezia) e, fra l'abbandono del ginnasio Foscarini nel 1898 e il viaggio a Parigi del 1906-07 in compagnia di Arturo Martini, i dati biografici tacciono quasi del tutto. Si sa che ha sposato nel 1903 la pittrice Bice Levi Minzi; che dal 1905 è seguito privatamente dal pittore russo Schereschewskj, e che già nel 1905 occupa un atelier nel Palazzo Pesaro.
A Parigi studia con l'allora celebre artista spagnolo Anglada; ma sa andare più in là, frequentando Medardo Rosso e guardando a Cézanne, all'Art Nouveau (pur senza visitare Monaco e Vienna), ma soprattutto a Matisse, ai fauves e ai nabis come Sérusier, Lacombe, Denis e Bernard, risalendo alle fonti dirette della loro libertà cromatica, cioè Van Gogh e più ancora quel Gauguin che diviene il suo principale referente. Lo studio dei primitivi e dei fiamminghi (condotto nei musei parigini e approfondito proseguendo il viaggio nei Paesi Bassi), e delle ceramiche orientali del Museo di Cluny, come già quello dei mosaici bizantini patri, indicano una sensibilità nabis in formazione, che salda etica ed estetica in una concezione quasi mistica dell'arte e che ha modo di definirsi appieno in un secondo viaggio realizzato alla fine del 1909 in Bretagna, nei luoghi di Gauguin. Gino Rossi aveva nel frattempo partecipato a Venezia alla prima mostra di Ca' Pesaro nel 1908 e alla terza nel 1909, stringendo col Barbantini un'amicizia imperitura.
È nel 1910 che, stabilitosi a Burano (isola che sarà fino al 1915 la "sua" Bretagna e quella degli amici di Ca' Pesaro, Moggioli, Scopinich e Semeghini), l'artista si impone alla mostra capesarina con La fanciulla del fiore, Il muto e Case a Burano (a Ca' Pesaro terrà anche una personale l'anno seguente). Per qualche anno dipingerà con piatte campiture di colore puro, antinaturalistico, smaltato (con prevalenza dei verdi e degli azzurri), chiuse ora in gauguiniane linee cloisonnées (La fanciulla del fiore, Paese in Bretagna; inoltre Douarnenez della Galleria d'Arte Moderna di Venezia), con concessioni a sinuosità decorative matissiane o liberty (Primavera in Bretagna, del Museo Civico di Treviso, Mestizia, Tina, Maria e Fina, Composizione con figure e Tre donne danzanti), ora in contorni di un tortuoso espressionismo ereditato da Van Gogh, che tratteggiano la fisionomia di rudi pescatori bretoni o buranesi in alcuni ritratti perlopiù del 1912-13 (oltre al Muto, precedente, Il vecchio pescatore della Galleria d'Arte Moderna di Milano, e Pescatore dal berretto verde, L'uomo dal canarino, Il bevitore). Negli anni di Burano, Gino Rossi è spesso anche ad Asolo, che gli ispira paesaggi così liberi nel rapporto segno-colore da sfiorare talvolta (come nella Grande descrizione asolana del 1912) la soglia dell'astrazione.
Nel 1912 l'artista va ancora in Bretagna, e a Parigi con Arturo Martini per partecipare al Salon d'Automne. Qui l'attenzione alla scultura di Archipenko ma soprattutto la rimeditazione su Cézanne - approfondita poi in un terzo viaggio a Parigi nel 1914 - lo avviano al graduale abbandono delle precedenti eleganze decorative e brillantezze cromatiche, per farsi "più aspro, più duro" - sono sue parole - in cerca di una "coscienza plastica" che pieghi il colore alle funzioni costruttive della forma. Poco dopo il viaggio del 1912 inoltre, la moglie lo lascia e il trauma che ne segue lo segna per sempre, velando di immedicabile malinconia le opere a venire. Alla mostra capesarina del 1913, i suoi paesaggi incupiti e soprattutto la severa compostezza di Maternità (Venezia, Galleria d'Arte Moderna), denunciano ormai la svolta che frutterà l'anno seguente capolavori di austera cromia, di serrata strutturalità architettonica quali L'educanda e Ritratto di signora. Nel 1914 Rossi espone al Lido di Venezia con gli "Artisti rifiutati dalla Biennale", e a Roma nella mostra della Secessione (come già l'anno prima) e a quella futurista presso la Galleria Sprovieri.
Nel 1915 si trasferisce da Burano a Ciano sul Montello. La guerra comporta per lui la prigionia a Restatt in Germania, che lo mina definitivamente nel corpo e nella psiche. Al ritorno (la casa di Ciano è distrutta e molte sue opere disperse) si stabilisce con la madre a Noventa Padovana fino al 1922, e poi ancora a Ciano. Accresce il suo disagio psicologico l'indigenza che lo costringe a lavorare come ceramista e merciaio ambulante, ma non gli impedisce di riprendere la pittura, le battaglie artistiche coi compagni di Ca' Pesaro e l'attività espositiva.
Nel 1919 è alla mostra di Ca' Pesaro e a quella dei "Soldati Congedati" a Verona nonché, invitato da Casorati, alla Promotrice di Torino; nel 1920, nuovamente rifiutato dalla Biennale, è coi dissidenti di Ca' Pesaro alla Galleria Geri Boralevi di Venezia e nel 1921 alla II Esposizione Nazionale d'Arte di Padova e alla Regionale di Treviso, nonché alla mostra "Arte italiana contemporanea" presso la Galleria Pesaro di Milano. Nel 1923 si fa animatore di un gruppo di giovani artisti trevigiani ed espone con loro a Ca' Pesaro. Nel 1924 espone alla Mostra Trevigiana d'Arte di Palazzo Provera e di nuovo a Ca' Pesaro, e nel 1925 nella nuova sede delle mostre Bevilacqua La Masa al Lido.
Le ultime opere, dopo la pausa bellica, seguono ormai un indirizzo nettamente cezanniano-cubista, cui dà l'ultimo decisivo apporto il viaggio a Parigi del 1919, che si esprime in essenziali e rigorose volumetrie - la sua "architettura del quadro" - tanto nei dipinti di figura (da Testa di ragazza, 1920, alla Fanciulla che legge, 1922, della Galleria Nazionale d'Arte Moderna di Roma; fino alle Composizioni - imponenti benché di piccole dimensioni - realizzate nei suoi ultimi periodi di lucidità) che nei paesaggi (Tramonto a Burano, Colline, Case in collina) e ancor più nella serie di nature morte del 1922-23, definite "costruzioni" dall'autore, le più coerenti al suo assunto che "non si costruisce col colore, si costruisce con la forma". Nel 1926 Rossi impazzisce e per altri vent'anni sopravvive a se stesso in vari manicomi; in quello di Treviso Gino Rossi muore, il 16 dicembre 1947.