Luigi Filippo Tibertelli, noto come Filippo de Pisis, nasce a Ferrara nel 1896. Nel 1914 si iscrive alla facoltà di Lettere all’Università di Bologna. Frequenta ritrovi culturali e artistici; studia la cultura ferrarese antica, scrivendo dei saggi su artisti minori del passato, ma s’interessa anche alle riviste d’avanguardia, come “La Voce” e “Lacerba”. Esordisce in campo letterario con I Canti della Croara, e con una raccolta di poemetti intitolata La lampada.
Nel settembre del 1916, a Ferrara, conosce i due fratelli de Chirico e, a distanza di pochi mesi, incontra Carlo Carrà. Affascinato dall’apparato intellettuale dell’arte di Giorgio de Chirico, vive il momento metafisico in veste di teorico e sostenitore del nuovo linguaggio pittorico, così come fa per il Futurismo che lo attira soprattutto per l’aspetto teatrale. Nel frattempo intrattiene rapporti epistolari con Jacob, Apollinaire e Tristan Tzara, inviando alle manifestazioni dadaiste zurighesi collages e testi mai pubblicati. Nel 1919 incontra a Milano Filippo Tommaso Marinetti, a Bologna Morandi e Cardarelli e a Roma Giovanni Comisso, che sarà per molto tempo suo amico e collaboratore.
Dopo la laurea nel 1920, Filippo de Pisis si trasferisce a Roma, dove visita musei (prediligendo l’arte seicentesca), tiene conferenze e frequenta gli ambienti culturali della città come il Caffè Greco e il Caffè Aragno. Qui s’incontra con i poeti della Ronda e con il pittore Armando Spadini con il quale si reca spesso a dipingere en plein air. Nel marzo del 1920 espone per la prima volta alla Galleria d’Arte Bragaglia, non riscuotendo particolare successo. Nel marzo 1925 giunge a Parigi, dove rimane fino al 1939 interrompendo questo soggiorno con frequenti ritorni in Italia e con alcuni brevi viaggi in Europa. A Parigi frequenta assiduamente il Louvre, attratto dalle opere di Poussin, Delacroix, Manet, ma in seguito è soprattutto la pittura contemporanea francese ad attrarlo particolarmente; nel 1927, infatti, frequenta gli studi di Soutine e di Braque, intessendo rapporti con artisti di varie nazionalità.
In questo periodo de Pisis schiarisce la sua tavolozza creando quel suo tipico stile leggero, veloce, stenografico, che con freschezza trascrive la fugacità dell’impressione visiva. A Parigi ritrova gli amici d’un tempo, de Chirico, Savinio, Palazzeschi e conosce Moreau, Denoyer, Segonzac. In questi anni Filippo de Pisis partecipa a importanti rassegne; nel 1926 è alla I Mostra del Novecento Italiano (vi esporrà anche nel 1929), figura alla XV Biennale di Venezia (vi esporrà regolarmente dal 1928 al 1936 e dal 1942 al 1956). Sempre nel 1926 tiene una mostra personale alla Galerie au Sacre du Printemps di Parigi con la presentazione di Giorgio de Chirico. Successivamente, insieme ai pittori italiani residenti a Parigi partecipa alle numerose mostre d’arte italiana allestite in varie città europee.
Espone alle Quadriennali romane dal 1931 al 1943 (nel 1935 è presente con una sala personale) e in mostre collettive e personali in tutta Europa. È un periodo in cui intensifica anche la sua attività di illustratore e critico, collaborando a numerose riviste come “Fronte”, “Arte”, “Il Selvaggio”, “L’Italia letteraria”, “Emporium”, “Frontespizio” e “L’Ambrosiano”. Nel 1939 lascia definitivamente Parigi per rientrare in Italia (è a Milano dal 1940 al 1943 e a Venezia dal 1943 al 1947), dove si dedica intensamente alla pittura dipingendo vedute di città, ritratti, grandi mazzi di fiori e numerosissime nature morte. In questi anni si cimenta anche nella grafica ed espone ininterrottamente sia in Italia che all’estero (nel 1947 si tiene una sua mostra anche a New York).
Nel 1947 Filippo de Pisis si reca nuovamente a Parigi, ma è costretto per gravi motivi di salute a tornare in Italia, dove trascorre gli ultimi anni della sua vita. Qui, costretto a lunghe degenze in case di cura, continua a dipingere e a disegnare, fino a quando l’aggravarsi delle sue condizioni di salute non lo costringono ad abbandonare i pennelli per disegnare a penna. I suoi ultimi lavori, infatti, sono dei rapidi inchiostri eseguiti nei primi mesi del 1953. Alcuni mesi dopo la sua morte, avvenuta a Milano nell’aprile del 1956, la XXVIII Biennale di Venezia lo ricorda con un’importante retrospettiva di sessantacinque opere, presentate in catalogo da Francesco Arcangeli.