Felice Casorati, il grande protagonista della pittura piemontese della prima metà del secolo, nasce a Novara nel 1883, dove il padre era di stanza in uno dei numerosi trasferimenti dovuti al suo stato di militare di carriera, da una famiglia pavese nota per matematici, giureconsulti e medici. Dopo i trasferimenti a Milano, Reggio Emilia e Sassari, negli anni di soggiorno a Padova il giovane Felice abbandona per un grave esaurimento nervoso lo studio del pianoforte, cui sembrava destinato, e inizia a dipingere. Il conseguimento di una laurea in legge (1906) intensifica anziché interrompere l'impegno figurativo che sarà coronato con la partecipazione alla Biennale di Venezia del 1906 con un elegante Ritratto di signora che lo segnalerà all'attenzione della critica.
Trasferitosi con la famiglia a Napoli nel 1908, inizierà un ciclo di ambiziosi quadri di figura dove confluiranno una aristocratica patina anticheggiante, echi bruegheliani e omaggi all'ammiratissima cifra di Ignacio Zuloaga, testimoniata nei quadri mandati alle Biennali veneziane del 1909 (Le figlie dell'attrice, Le vecchie) e del 1910 (Le ereditiere). Le due mostre personali di Gustav Klimt a Venezia nel 1910 e a Roma nel 1911 influenzeranno molto la sua produzione del secondo decennio, con l'importazione di sigle secessioniste, colori brillanti e modi elegantemente decorativi. Il trasferimento della famiglia a Verona, avvenuto nel 1911, lo avvicina al gruppo di giovani artisti di Ca' Pesaro, dove ottiene nel 1913 una sala personale e torna a esporre nel 1919; protagonista di un'avanguardia spiritualista dagli accesi toni simbolisti e dal forte sperimentalismo grafico che è testimoniata anche nelle contemporanee presenze alla Secessione romana (dove nel 1915 avrà una sala personale) non tronca però i rapporti con la più ufficiale Biennale veneziana, ottenendo, nel 1912, un successo personale con la vendita di due quadri alla Galleria di Ca' Pesaro e al governo belga.
Alla ripresa del dopoguerra, l'attività di Felice Casorati sarà particolarmente significativa nel catalizzare energie giovanili (mostre veronesi del 1918, Promotrice torinese del 1919, mostra degli artisti dissidenti di Ca' Pesaro, 1920, Quadriennale torinese del 1923). Ma sarà soprattutto la sua pittura a diventare uno dei punti fermi per i destini del ritorno all'ordine della pittura italiana.
La ripresa è caratterizzata inizialmente da una fase di ricostruzione di uno spazio solo apparentemente rigoroso, di una metafisica enigmaticità (L'attesa, 1918-19; Anna Maria De Lisi, 1919; Mattino, 1920; L'uomo delle botti, 1920). Poi, sull'onda dell'impressione suscitata dalla mostra cezanniana della Biennale di Venezia del 1920, il pittore tenta una solidificazione in direzione neo-quattrocentista e classicistica della sua pittura in grandi composizioni di figure ambientate nel suo studio e ritratti di silenziosa e puristica solennità, opere presentate alle più importanti esposizioni degli anni venti e destinate a suscitare uno dei più accesi dibattiti in Italia sul moderno; in particolare, la sala personale alla Biennale veneziana del 1924, presentata da Lionello Venturi e allestita in contemporanea a quella di Ubaldo Oppi e a quella dei pittori del Novecento Italiano, metterà per la prima volta i visitatori di fronte al problema del ritorno intellettualistico all'antico e alla recisione definitiva con i legami della pittura dell'Ottocento.
Il successo di vendite del pittore sarà costante, con una clientela prestigiosa di privati (Gualino, Casella, Ojetti, Pecci Blunt, Sarfatti) e di pubblici istituti (tutte le principali gallerie italiane e molte straniere tra cui i Musei di Boston, di Pittsburgh, di Budapest, il Luxembourg di Parigi, la Nationalgalerie di Berlino) e con un riconoscimento critico pressoché unanime, se si escludono voci legate a filo doppio alla conservazione ottocentista.
Verso il 1929-30, cogli invii alla XVII Biennale di Venezia e alla I Quadriennale romana, la pittura di Felice Casorati, dopo una breve parentesi paesaggistica, muta decisamente, con un abbandono dell'algida purezza neomantegnesca del recente passato per una materia che, predilette tinte tenui e perlacee, tende a disfarsi e ad amalgamarsi (Susanna, 1929; La toeletta, Conversazione alla finestra, Tre sorelle, 1930) sulla spinta dei contemporanei risultati dei Sei Pittori di Torino; referenti diversi e molteplici, dal primo Picasso agli artisti dell'Ecole de Paris come Van Dongen, Foujita o Modigliani, caratterizzano la sua pittura degli avanzati anni trenta, quando Casorati alterna composizioni di grandi dimensioni presentate a mostre ufficiali, a più intimistici ritratti e nature morte.
Nel secondo dopoguerra (nel 1941 il pittore era stato nominato titolare della cattedra di Pittura all'Accademia Albertina di Torino) l'attività casoratiana continua per quasi un ventennio fino alla morte, con opere, per lo più figure e nature morte, dalla nettissima partitura spaziale e di un decorativismo non immune dalle contemporanee fortune dell'Astrattismo.
Merita di essere quantomeno segnalata, da ultimo, la multiforme attività non pittorica di Felice Casorati: in primo luogo quella incisoria, particolarmente fitta nel secondo decennio del secolo; poi quella scultorea (teste policrome alle Secessioni romane, fregi e statue per il teatro di Gualino, il rilievo per la Macelleria alla Biennale monzese del 1925, un rilievo alla Triennale del 1933); quella musiva (due grandi mosaici per l'Esposizione di Bruxelles del 1934 e per la VI Triennale di Milano del 1936); quella, notevolissima, di scenografo e costumista teatrale al Maggio Musicale Fiorentino (1933, 1935, 1950), al teatro alla Scala di Milano (1942, 1946-50), al Festival di Venezia (1947), all'Eliseo di Roma (1950), al Piccolo Teatro di Milano (1951).